I "custodi" del sorriso e del benessere, tra tradizione e credenze popolari
CAGLIARI - Occhi che cercano un incontro, una luce, una speranza o un gesto di buon augurio. Pupille contro pupille, nell’atto speranzoso e ossequioso di chi si affida alla saggezza degli antichi, umile, devota e mai vicina al magico o peggio all’esoterico. Un atto di donazione, quasi una simbiosi, tra chi ha il sangue “più forte” perché visceralmente legato alla terra d’origine e chi vuol trovare nell’accoglienza il primo modo per guarire.
Si è scritto molto, a torto principalmente, e si è detto ancor di più sulle figure pulsanti di una certa medicina popolare diffusa in Sardegna. Chiamati guaritori, stregoni o taumaturghi, streghe e bigotte.
Nulla di più fuorviante. Almeno a giudicare dalla disparità dei contesti, diversi e profondissimi, di una terra brulla e ricca di storia e credenze ancestrali.
Legati alla storia delle loro tradizioni, in un miscuglio tanto affascinante quanto attuale, i guaritori sardi operano in un contesto di pratiche di medicina tradizionale ancora oggi largamente utilizzate, forse avvolte da un alone di mistero che le rende estremamente affascinanti.
Pratiche che si perdono nella notte dei tempi, tramandate con un carico di gelosia mista a ostentazione, di generazione in generazione, valide per tutte le finalità, ma mai uguali tra di loro.
Dal rito della benedizione nuziale, diffusa in larga parte nel Sud della Sardegna, durante la quale la guaritrice, dopo aver gettato sul capo dei novelli sposi petali di rose rosse e bianche in segno di buon augurio, frantuma con forza il piatto di porcellana che conteneva i petali ai piedi degli sposi quasi a ratificare il passaggio da vecchia a nuova vita, felice e feconda (o meno) a seconda del numero dei cocci sparsi in terra.
Al rito, controverso e spesso inquietante, della “medicina contro il malocchio”, con l’usanza di diverse metodologie, a seconda del contesto geografico isolano, dove però a spiccare è quella secondo la quale la guaritrice versa dell’olio all’interno di un contenitore pieno d’acqua, diagnosticando la fonte e il rimedio a “ sa pigada de ogu” (letteralmente “la presa d’occhio”) a seconda della direzione verso cui si dividono le gocce d’olio cadute in acqua.
Magia, esoterismo, folklore e riti personali che, fondendosi, alimentano scetticismo e confusione, se come emerge da studi dedicati, esisterebbero almeno una trentina di modalità di esecuzione del rito terapeutico che vedono la combinazione di diversi elementi come il segno della croce, la recita del Credo, le orazioni ai santi, il Rosario, l’acqua, il grano, l’olio, l’orzo, l’osso, la pietra, la carta .
Eppure, c’è una linea sottilissima che divide queste figure, i santoni, o i professionisti della medicina tradizionale, da quelle che la saggezza popolare identifica come “custodi” del sorriso e del benessere.
Come detto, esse si ricongiungono in punta di piedi all’immagine della vetusta saggezza di paese, spesso in contesti di poche centinaia di anime come nei più remoti comuni dell’entroterra isolano.
Le matrone, o i vecchi saggi di paese, debitamente bardati con abiti della festa, secondo l’usanza di quella loro terra che li ha visti ereditare, con deferente rispetto, un bagaglio unico di conoscenze dai propri avi e ancora indietro, sanno che la prima diagnosi a cui sottoporre i loro “pazienti” non parte certo da riti, imposizioni o chissà quale altro sortilegio, ma dall’invito al sorriso, alla distensione, alla calma, quasi a voler rendere un gesto semplice come foriero di un insperato nuovo benessere.
Non me ne vogliano gli esperti o gli studiosi, ma serve fare chiarezza.
Qui non hanno nulla a che spartire episodi in cui malattie, ustioni, cicatrici e tanto altro ancora, vengono curati con parole magiche, erbe segrete o unguenti particolari tanto da porre addirittura questi fantomatici guaritori all’azione di corteggiamento, senza successo, delle multinazionali del farmaco.
Men che meno, sebbene diffusa, discutibile appare la credenza secondo quale la materialità dei gesti possa scacciare via sortilegi. Chi si trova dinnanzi a queste figure di paese, un po’ nonne e un po’ patriarchi, non pensi minimamente che alcuni accorgimenti possano prevenire gli effetti di una crisi, che sia corporale o morale. Portare un indumento al rovescio o indossare qualcosa di verde come un nastro o una foglia di lentischio, dicono questi saggi, non serve a nulla. Forse serve a creare uno schermo, un muro di paglia per convincersi che il sortilegio sia scacciato. Ma in verità non è cosi.
Il “guaritore” vero, quello autentico, quello che opera sulla coscienza del paziente senza sporcarsi le mani nel fango dell’esoterismo si esprime anch’esso nei tre momenti fondamentali della gestione della malattia: la diagnosi, la cura e gli elementi di natura diversa usati nella cura, quasi a comporre una sorta di farmacia spirituale collettiva. Ma lo fa senza ricorrere a null’altro rispetto al clima con cui imposta il dialogo con il suo “ammalato”, l’accortezza dei gesti, le parole di incoraggiamento, l’affetto degli auguri.
Non sembra errato ammettere che più come guaritori, forse sarebbe meglio accettarli come confessori.
Se serve diagnosticare il disturbo, basterà leggere ansie e preoccupazioni nelle pupille di chi vuole incrociare lo sguardo, sempre ammesso che il tono del dialogo non lo denoti già. Se occorre trovare una cura si farà ricorso alla preghiera, alla formulazione di un augurio che serva da “apripista” per l’invocata distensione della mente. Magari si fa ricorso ai cosiddetti “brebus”, i verbi, le invocazioni che vengono recitati assieme alle preghiere, delle quali molte di chiara influenza cattolica e altre di origine assolutamente pagana. Ma nulla di magico o mistico.
L’effetto della cura sembra poi essere immediato su coloro i quali richiedono benevola assistenza: novelli sposini per una vita coniugale fertile e feconda, parenti, conoscenti o amici per la preghiera di successo in campo lavorativo. In certi casi, anche la classica preghiera di guarigione da una qualsivoglia forma, vera o presunta, di malocchio.
Momenti di condivisione, dialogo franco e sincero, dove nessuna forma di magia ha predominanza rispetto ad altro. Solo una profonda devozione verso l’ambiente circostante.
Capace di saper accogliere pensieri, preoccupazioni e paure di chi, invece, tende sempre a offuscarlo.
Fonte foto:
Il rito contro "sa pigada de ogu", rituale magico e tradizionale per scacciare via il malocchio: foto tratta da claudiazedda.it
Uno degli ultimi saggi di Orgosolo, nel cuore della Barbagia, dispensatore di consigli e premure, vestito secondo il tradizionale abito sardo: foto tratta da angiulina.wordpress.com
La saggezza popolare di anziani e matrone ha sempre inizio dall'invito al sorriso: foto tratta da linkis.com
Articolo di Riccardo Anastasi
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