Biomarcatori e speranze terapeutiche per la sindrome da fatica cronica

Autore:
Redazione
11/07/2016 - 11:34

A lungo la comunità scientifica si è disinteressata o ha comunque prestato poca attenzione al problema della Sindrome da Fatica Cronica, ma si stanno facendo grandi passi avanti nella comprensione della malattia. In tempi recenti si è preannunciato più di un possibile biomarcatore.

  1. Hornig et al: uno studio ampio e con un gran numero di controlli che fa capo alle università di Harvard, della Columbia e di Stanford e che è firmato dal gotha degli studiosi sulla CFS/ME avrebbe trovato “una firma immunitaria distintiva nel plasma" che distinguerebbe anche diversi livelli di gravità. Ci sarebbe una iperattivazione di citochine per chi è malato da meno di tre anni, un ipofunzionamento per chi è malato da più di tre anni. 
  2. La Griffith University (Queensland, Australia). Il NCNED (National Centre for Neuroimmunology and Emerging Diseases – Centro Nazionale per la Neuroimmunologia e le Malattie Emergenti) e il Menzies Health Institute del Queensland (Australia) hanno annunciato di aver trovato un biomarcatore nei globuli bianchi. Il team sta cerando dei partner con compagne diagnostiche per sviluppare un test del sangue che potrebbe essere disponibile addirittura per fine anno. La professoressa Marshall – Gradisnik ha rilasciato un’intervista in proposito (qui). Questa stessa università, agli inizi di giugno ha pubblicato un comunicato stampa in cui informano di aver identificato un recettore precedentemente ignoto su specifiche cellule immunitarie, il recettore TRPM3, importante per il movimento del calcio all’interno delle cellule. Uno studio dimostra che questo sarebbe significativamente ridotto nei pazienti di CFS/ME.
  3. Russell et al, nel marzo 2016, su BCM Immunology concludono che “le IL-1α, 6 e 8, fatti gli aggiustamenti per la durata della malattia, possono servire come robusti biomarcatori, indipendenti dall’età, nello screening per la ME/CFS”.
  4.  Petty at al, anche loro nel marzo 2016, su Plos One, dimostrano “alterata espressione del microRNA nelle cellule mononucleari del sangue periferico dei pazienti con la CFS/ME, che sono potenziali biomarcatori diagnostici. Il grado maggiore di disregolazione del miRNA è stato identificato nelle cellule NK con bersagli coerenti con l’attivazione cellulare e la funzione degli effettori alterata”.

E questi non sono i soli studi promettenti. Anche senza tenere in considerazione un rinnovato interesse dei National Institutes of Health, gli Istituti Nazionali di Sanità americani, che hanno incaricato l’esperto di neuro immunologia Avindra Nath (qui un webinar sul progetto), l’impegno del Bateman Horne Center o dell’Institute for Neuro-Immune Medicine, un soggetto di grande importanza è entrato in campo e sta svolgendo ricerca in modo forte: la Open Medicine Foundation. Co-fondatore è niente meno che il famoso scienziato Ron Davis, professore di Biochimica e Genetica alla Facoltà di Medicina dell’Università di Stanford e direttore dello Stanford Genome Technology Center. Suo figlio Whitney è gravissimamente malato di CFS/ME e ha perciò anche un interesse personale a risolvere il puzzle di questa malattia. Il comitato di consulenza scientifica [figura B] messo in piedi dalla Fondazione comprende tre premi Nobel e diversi membri dell’Accademia Nazionale delle Scienze. Uno degli studi lanciati proprio con l’obiettivo di individuare dei marcatori, il ME/CFS Severely Ill “Big Data” Study è inusuale perché da un lato è molto piccolo, solo 20 pazienti e 10 controlli, ma sta raccogliendo un’enormità di dati: due miliardi. (Si veda qui, per capire come vengono analizzati tenendo conto della deviazione standard). E si sta concentrando sui pazienti ammalati in modo molto severo, in considerazione del fatto che la loro biologia mostra le maggiori differenze rispetto agli individui sani, cosa che in passato non era mai stata fatta perché i soggetti malati erano sempre stati considerati troppo difficili da studiare. La biologia dei pazienti viene esaminata sotto vari aspetti incluso quello della immunologia, della proteomica e dell’emergente settore della metabolomica che avrebbero già mostrato come il ciclo dell’acido citrico nei mitocondri, e quindi il motore metabolico principale per la produzione di energia, e la glicolisi non funzionino bene nei pazienti. Sui mitocondri si concentra il modello della Cell Danger Response, la risposta di pericolo delle cellule – e per saperne di più si legga qui. In effetti Davis ha dichiarato in un’intervista, che hanno trovato ben 193 parametri alterati nei pazienti (e alcuni di questi potrebbero interessare anche in altre malattie) e che il suo laboratorio, grazie alle donazioni di privati, è riuscito a fare più progressi di quanto non si fosse riuscito a fare negli ultimi 30 anni.  

 

A cura di 

Giada Da Ros

Presidente della CFS Associazione Italiana onlus di Aviano (PN)

Curatrice di “STANCHI – Vivere con la Sindrome da Fatica Cronica” (SBC Edizioni)

 

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