Etna, raccontare la “Muntagna” tra meraviglia e terrore
La “Muntagna” ama farsi ammirare, attirando tutti gli sguardi verso i suoi spettacolari sbuffi infuocati, ma allo stesso tempo temere come una madre infuriata decisa a mettere in punizione il proprio figlio. “Noi”, figli dell’Etna, siamo avvezzi sia ai suoi rimproveri e scatti d’ira, che alle volte sono stati causa di distruzione e disperazione, sia alla sua meraviglia naturale da cui abbiamo sempre ritrovato la forza di rinascere.
Amore e odio, meraviglia e terrore, sono i sentimenti contrapposti che il Mongibello infonde ai suoi abitanti e ai forestieri stupiti di poter vedere tanto nitidamente qualcosa di così spettacolare come un vulcano in attività. Di seguito si tratterà dello stupore, della paura e del fascino che il Monte Etna ha suscitato negli animi più inclini a raccogliere e successivamente condividere per mezzo della propria scrittura la paralizzante bellezza del nostro Vulcano.
Come narra il poeta latino Ovidio nella sua opera Le Metamorfosi, la responsabilità delle furiose eruzioni dell’Etna possono essere attribuite anche al gigante Tifeo che, per aver osato sfidare il re degli dèi, venne imprigionato sotto la grande Trinacria. Quando il gigante con il suo grande corpo, che sorregge tutta l’isola (con la mano destra il promontorio di Messina oggi detto Capo del Faro, con la sinistra Pachino, con le gambe il Capo Boeo, in provincia di Trapani, e con la testa l’Etna), si risveglia e prova disperatamente a sollevarsi ne conseguono rovesci di fiamme e macerie seguiti da forti terremoti da far paura anche al re dei morti. Una paura tale da far temere a quest’ultimo, come spiega Ovidio, «che la terra si scoperchi e si dischiuda in una grande fenditura da cui possa entrare la luce ad atterrire e mettere in confusione le ombre».
Probabilmente da quando la paura nei confronti dell’Etna smise di essere correlata al timore di qualche punizione divina, il Vulcano divenne gradualmente simbolo identitario della città etnea e i suoi abitanti “figli devoti” e custodi della ricca tradizione mitologica e letteraria che lo raffigura. Sebbene l’identificazione della città di Catania non può fare a meno dell’imponente presenza del Mongibello, tuttavia è facile riscontrare, scambiando quattro chiacchiere con uno straniero, che il nome “Etna” non è ad essa immediatamente associato ma ne prescinde. La “Muntagna”, infatti, può essere considerata la rappresentazione dell’infinite meraviglie naturali che la Sicilia offre al turista e punto di riferimento da quasi tutti i luoghi dell’Isola.
L’Etna è stata ed è il luogo dell’anima poiché, inspiegabilmente, dalla sua vista è possibile trovare nutrimento alla creatività. Ogni sogno sembra possibile, tanto è esteso e profondo lo scenario che ci si trova ad ammirare. Così è per Maria, la giovane Capinera di Verga, che trascorre un breve ma significativo periodo presso la casa del padre situata sul Monte Ilice, «tra il verde delle vigne che si nascondono nelle valli e circondano le casette, e quel mare ceruleo». La vista della «vetta superba dell’Etna che si slancia verso il cielo» si contrappone alla clausura monastica che la protagonista sarà costretta ad accettare al termine di quel breve intervallo di vita che le è stato concesso per sfuggire all’epidemia di colera. Il Monte diventa metafora della libertà, dei sogni e dell’amore che Maria, una volta ritornata in convento, non potrà più assaporare ma solo ricordare.
È forse questa la vera lezione di vita che la “Muntagna” dona ai suoi abitanti? Una domanda a cui è possibile rispondere positivamente se per tale lezione si intenda la fatica di trovare sempre la forza e la speranza di ricominciare anche nelle condizioni più ostili. Perciò l’Etna è vista dai suoi abitanti come una madre che, se punisce, lo fa a fin di bene. Quindi è di particolare importanza, afferma ancora l’autore de I Viceré, se ci si volesse cimentare nello scrivere della gente nata e cresciuta in questa zona della Sicilia, osservare il loro restare «freddi e quasi delusi non solamente dinanzi ad altri grandiosi spettacoli della natura, ma anche in presenza delle migliori opere umane». E, a rinforzare quanto già detto, aggiunge: «Ciò che sta loro dinanzi li ha troppo meravigliati: nulla più li impressiona».
Il motivo, continuerebbe Goliarda Sapienza, è perché «noi siamo di Catania. Là il Monte dà la vita con la neve e la morte con la lava».
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Autore
Autore
Laureata in Lettere moderne e in Filologia moderna all’Università degli Studi di Catania, ama leggere e rileggere i grandi classici della letteratura italiana e non solo. In particolare, dal fascino romantico del barocco lavico della città di Catania nasce la passione per i grandi autori siciliani. Al momento studia per diventare una brava insegnante d’italiano in grado di saper trasmettere la passione per il sapere e la curiosità per la scoperta, antidoti contro ogni degrado sociale.