
FibroCovid: uno studio svela i legami tra Covid-19 e fibromialgia

È stato recentemente pubblicato sulla rivista della società scientifica che riunisce i reumatologi di tutta Europa (RMD Open: Rheumatic and Musculoskeletal Diseases), uno studio coordinato dalla struttura di Reumatologia dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna diretta dal professor Riccardo Meliconi, con primo autore il professor Francesco Ursini, professore associato in Reumatologia in servizio presso la medesima struttura.

La fibromialgia è una sindrome reumatologica piuttosto frequente nella popolazione e caratterizzata da dolore muscoloscheletrico diffuso unitamente ad una miriade di altri sintomi come stanchezza cronica, disturbi del sonno, disturbi dell’apparato gastroenterico o alterazioni della sfera cognitiva (memoria, concentrazione).
«Nel nostro studio grazie a un’indagine condotta su oltre 600 persone con postumi a lungo termine di un’infezione sintomatica da Covid-19, quello cioè che si intende per long-Covid o post-Covid-19 syndrome, abbiamo osservato per la prima volta al mondo che circa il 30% dei pazienti manifesta sintomi compatibili con la diagnosi di fibromialgia anche a distanza di sei mesi e oltre dalla guarigione dell’infezione acuta. Un aspetto interessante è che tra i principali fattori di rischio per sviluppare questa sindrome, che abbiamo definito FibroCovid, vi sono in particolare il sesso maschile e l’obesità. Mentre l’obesità è un noto fattore predisponente per la fibromialgia e per le malattie muscoloscheletriche in generale, il sesso maschile è generalmente meno interessato da questa condizione», afferma il professor Francesco Ursini.
«Questo dato, apparentemente sorprendente, in realtà concorda con l’accertata tendenza a sviluppare forme più severe di Covid-19 nei soggetti di sesso maschile. Pertanto, nella nostra interpretazione, lo sviluppo di FibroCovid potrebbe essere legato a forme di Covid-19 particolarmente severe che si riverberano sull’apparato muscoloscheletrico, sul sistema nervoso e su quello immunitario per molti mesi dopo la guarigione dell’infezione primaria, generando così la sintomatologia dolorosa», precisa il professor Riccardo Meliconi.
«Il nostro studio conferma quello che i reumatologi di tutto il mondo stanno sperimentando quotidianamente nei loro ambulatori: un incremento importante del numero di casi di fibromialgia, patologia per la quale, purtroppo, esistono ancora poche opzioni terapeutiche. Il nostro obiettivo nel prossimo futuro sarà quello di seguire questi pazienti nel tempo per valutare se il decorso della malattia sia autolimitante, come in genere avviene nelle malattie post-virali, o se tenda a cronicizzare come nella fibromialgia primaria. Inoltre, abbiamo intenzione di avviare un programma di intervento riabilitativo dedicato a tali pazienti, basato su tecniche di attività fisica adattata, in collaborazione con il gruppo di ricerca coordinato dalla professoressa Maria Grazia Benedetti, direttrice della struttura di Medicina Fisica e Riabilitativa del Rizzoli», prosegue Ursini.
Lo studio, al quale hanno contribuito i prestigiosi centri di reumatologia italiani Università degli Studi dell’Aquila, Università Campus Bio-Medico di Roma, Università degli Studi di Torino, rappresenta un ulteriore tassello del quadro che la Reumatologia del Rizzoli sta contribuendo a delineare, sin dall’inizio della pandemia, grazie alla collaborazione con un grande gruppo di ricercatori coordinato da Clodoveo Ferri, già professore ordinario di Reumatologia presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, sull’associazione tra Covid-19 e malattie reumatologiche.
Per saperne di più
https://rmdopen.bmj.com/content/7/3/e001735
Foto di copertina: Pixabay
Immagine all’interno: il professor Riccardo Meliconi (a sinistra) e il professor Francesco Ursini della Reumatologia del Rizzoli
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