La misteriosa uccisione di Salvatore Giuliano
Nella interminabile ricerca della verità in merito alle dinamiche che portarono alla morte di Salvatore Giuliano, o di quella “messinscena” che alcuni ipotizzano sia stata artificiosamente rappresentata per nascondere la verità, uno degli elementi che autorizzano ad ipotizzare che la versione ufficiale dell’accaduto non corrisponda alla realtà dei fatti deriva proprio dalla rilevazione delle sequenze e del numero di spari che venne affermata ma che venne smentita dai testimoni che ebbero modo di sentire gli spari.
Sin dall’epoca immediatamente successiva alla diffusione della notizia che Salvatore Giuliano era stato ucciso nel cortile dell’avvocato Di Maria, legale di fiducia di Giuliano, a Castelvetrano, furono in molti a sollevare dubbi sia sulla dinamica all’uccisione, sia sulla vera identità del morto mostrato dalla “Settimana INCOM n. 466 del 12 luglio 1950” nei cinema. Solo per citare alcuni degli innumerevoli articoli più recenti che si sono occupati di indagare sulla verità relativa all’uccisione di Salvatore Giuliano ricordiamo quello di Nino Materi, pubblicato su il Giornale.it il 7 gennaio 2019 dal titolo Il bandito Giuliano era vivo. A essere ucciso fu un sosia, l’articolo di Giulio Ambrosetti, pubblicato su I Nuovi Vespri il 5 luglio 2020 nonché l’articolo intervista realizzata da Angelomauro Calza e pubblicata sul suo blog, nella quale l’autore ha raccolto la testimonianza dell’infermiere che ha accudito l’avvocato Di Maria fino alla morte, Giuliano Zito, che ha raccontato che Di Maria, prima di morire, gli confidò che il cadavere mostrato non era quello di Salvatore Giuliano, bensì di tale Antonino Scianna.
Ma qual era la convinzione della stampa dell’epoca relativamente all’identità del morto mostrato alla pubblica opinione ed alle dinamiche reali della uccisione di Salvatore Giuliano (se era lui il morto)? Per cercare di appurarlo abbiamo operato una ricerca su alcuni giornali dell’epoca selezionando alcuni degli innumerevoli articoli dedicati a Salvatore Giuliano. Dalla rilettura di alcuni articoli pubblicati prima e dopo l’uccisione di Salvatore Giuliano, avvenuta il 5 luglio 1950 a Castelvetrano, sembrerebbero emergere inquietanti interrogativi sulla reale dinamica ufficiale della sparatoria nel corso della quale sarebbe stato ferito a morte la “Primula Rossa di Montelepre”. La ricostruzione ufficiale venne smentita dalle testimonianze di abitanti di Castelvetrano, tra cui alcuni autorevoli uomini dello Stato, che udirono e riportarono la sequenza degli spari che non coincideva con gli spari che vennero indicati nella versione ufficiale; circostanza che “costrinse” il colonnello Luca (da poco promosso generale) a motivare successivamente la mancata rilevazione del rumore degli spari, sostenendo (sic!) che «IL MITRA DEL CARABINIERE RENZI AVEVA IL SILENZIATORE».
In una intervista rilasciata dal generale Luca al Corriere di Sicilia pubblicata martedì 3 ottobre 1950, a seguito della domanda «Come mai gli abitanti del quartiere non udirono i colpi della sparatoria, in una notte d’estate, con tutte le finestre aperte?», lo stesso generale affermava che: «[...] il mitra del carabiniere Renzi che sparò era munito di silenziatore». Alla luce di questa affermazione che appare poco credibile, ci si chiede, legittimamente ancora oggi, perché il mitra del carabiniere Renzi (e solo il suo) avesse il silenziatore e perché anche le armi degli altri tre che parteciparono (secondo la versione ufficiale) alla sparatoria non lo avessero. Questa incongruenza e le altre che già furono fatte rilevare da Tommaso Besozzi, per primo, ci inducono a chiederci quale sia stata la vera dinamica di quegli eventi, nonché la ratio e le finalità di quella che sembrerebbe, se tale fu, una “messa in scena”. Diversi elementi porterebbero a ritenere che il luogo in cui fu mostrato il cadavere non fosse quello in cui Salvatore Giuliano (o chi per lui) venne ucciso e che le modalità rappresentate nella versione ufficiale fornita dalle autorità non corrispondessero al vero. Le notizie pubblicate dalla stampa americana prima del 5 luglio 1950, data della presunta morte di Giuliano, e riportate da quella italiana, in un caso con affermate discordanze con i dati antropometrici di Giuliano (era alto 1,60 oppure 1,80?), inducono ulteriormente a rafforzare oggettivamente il dubbio: il cadavere mostrato nel cortile dell’avvocato Di Maria a Castelvetrano era realmente quello di Salvatore Giuliano? Ma torniamo alla dinamica ufficiale e non dell’uccisione di Giuliano. Fondamentale nelle valutazioni che sono state fatte nei diversi articoli e nei libri che hanno indagato su ciò che successe realmente nel cortile dell’avvocato Di Maria (ammesso che fosse stato quello il luogo in cui il morto mostrato nei filmati era stato ucciso) è l’articolo scritto da Tommaso Besozzi sull’Europeo del 16 luglio 1950: Di sicuro c’è solo che è morto, che realizzò una accurata indagine su fatti accaduti la notte del 5 luglio 1950 in via Mannone a Castelvetrano. Nel suo articolo Besozzi nel contrastare la versione ufficiale dell’accaduto, dice:
In copertina: Salvatore Giuliano - Foto di Antonio Albanesi - Opera propria, CC BY-SA 4.0
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Autore
Autore
Santi Maria Randazzo vive a Motta Santa Anastasia. Nel 1975 si è laureato in Pedagogia presso l’Istituto Universitario di Magistero di Catania con una tesi sulla delinquenza minorile.
Dopo avere svolto per tre anni attività di assistente volontario presso la Cattedra di Teoria e Storia della Didattica presso l’Istituto Universitario di Magistero di Catania, l’Amministrazione Provinciale di Catania gli ha conferito l’incarico di svolgere una indagine sulla devianza giovanile. Dal 1978 ha lavorato presso i Servizi Sociali del Comune di Catania, prima con il ruolo di Assistente Sociale, poi con quello di Funzionario-Coordinatore di Centro Sociale. Su incarico del Comune di Catania ha collaborato con la Procura per i Minorenni presso il Tribunale per i Minorenni di Catania e con il Provveditorato agli Studi di Catania. Per diversi anni ha fatto parte del Comitato Provinciale per la Prevenzione delle Tossicodipendenze, del Consiglio Scolastico Provinciale e dell’Osservatorio Permanente sulle Problematiche dell’Età Minorile istituito presso l’ex Provveditorato agli Studi di Catania e per conto dello stesso Organismo ha svolto indagini sul lavoro nero minorile in Provincia di Catania.
In passato ha ricoperto ruoli dirigenziali in ambito associativo, sindacale e politico, è stato capo delegazione CGIL-CISL-UIL al Comune di Catania. È stato corrispondente da Motta per il giornale La Sicilia. Da quando è andato in pensione, si dedica con passione allo studio della storia della Sicilia, trascorrendo gran parte del suo tempo presso le più importanti biblioteche dell’Isola. Ha pubblicato due libri in digitale, Motta Santa Anastasia nell’antichità: uno degli ultimi misteri della storia siciliana (2012) e Storia di Motta Santa Anastasia. Dalle antiche origini fino alla prima metà del XV secolo (2013), e per Algra Editore il volume Il ritorno degli Aragonesi in Sicilia (2019). Ha collaborato con diverse riviste: ArcheoMedia, Agorà, Incontri, Sicilia Report, Sikelian e MetroCT. Ama lo sport ed in passato ha praticato rugby e atletica leggera.