Vulcani: satelliti e modelli fisici per prevedere un’eruzione settimane prima

Autore:
Redazione
27/08/2022 - 00:08

La previsione delle eruzioni è la sfida più importante per la vulcanologia, perché può ridurre l’impatto dell’attività vulcanica sulla popolazione e l’ambiente. La vulcanologia ha sperimentato alcuni successi nel prevedere le eruzioni in tempi brevi, ossia giorni o ore. Tuttavia, questi tempi potrebbero essere troppo corti per attuare misure di protezione appropriate, come l’evacuazione preventiva della popolazione potenzialmente interessata, specialmente in aree densamente urbanizzate.

Idealmente, i vulcanologi vorrebbero essere in grado di effettuare previsioni corrette a medio termine, con anticipo di settimane o mesi, ma non è stato finora possibile effettuare previsioni attendibili con tale anticipo, essenzialmente per il mancato riconoscimento di precursori eruttivi affidabili.

Ora, un gruppo di ricerca internazionale, guidato dall’Università degli Studi Roma Tre, fornisce una possibile soluzione a tale dilemma in un articolo scientifico appena pubblicato su Nature Geoscience, dal titolo Eruption at basaltic calderas forecast by magma flow rate.

Il team è costituito dal professor Valerio Acocella (Dipartimento di Scienze, Università degli Studi Roma Tre, Italia), dal dottor Federico Galetto, primo e principale autore (ora alla Cornell University, USA, fino al 2020 al Dipartimento di Scienze, Università degli Studi Roma Tre, Italia), dal professor Andrew Hooper (University of Leeds, UK) e dal dottor Marco Bagnardi (ora al Nasa Goddar Space Flight Center, USA, fino al 2020 all’University of Leeds, UK).

In quest’articolo è stato finalmente riconosciuto un parametro, il tasso di alimentazione magmatica, indirettamente misurabile sui vulcani, che costituisce un indicatore attendibile per prevedere un’eruzione con anticipo di settimane o mesi. Questo precursore è costituito dalla quantità di magma che si accumula sotto il vulcano nelle settimane o mesi prima di una possibile eruzione, riconoscibile attraverso la deformazione del vulcano misurata dai satelliti in orbita.

L’efficacia di tale precursore è stata verificata su alcuni vulcani particolarmente attivi nel mondo, come Fernandina e Sierra Negra (Galápagos, Ecuador), Kīlauea (Hawaii, USA), Krafla (Islanda): si tratta di caldere, ovvero di ampie depressioni topografiche, che si sono formate per lo svuotamento parziale della camera magmatica sottostante. In particolare, il precursore è stato misurato nelle caldere che eruttano un tipo di magma molto comune, chiamato “basalto”.

«I risultati ottenuti dal gruppo di ricerca mostrano che è possibile prevedere un’eruzione in caldere basaltiche in almeno l’89% dei casi, una percentuale di successo mai osservata su gruppi di vulcani. In particolare, alti tassi di accumulo di magma portano ad eruzioni nel 100% dei casi considerati; di contro, bassi tassi di accumulo non portano ad eruzioni nell’89% dei casi», racconta il professor Valerio Acocella dell’Università Roma Tre.

La ricerca è basata sulla messa a punto di un modello fisico del comportamento dei vulcani, confrontato con ulteriori dati modellistici derivanti da diverse decine di osservazioni satellitari su vulcani aventi caratteristiche comuni.

Quest’approccio è stato finora applicato alle caldere basaltiche, come si è detto sopra, che costituiscono una porzione limitata, ma non trascurabile (si tratta di molte decine di vulcani), di tutti i vulcani attivi sul nostro pianeta (circa 600). Tuttavia, un tale approccio innovativo potrebbe essere applicato anche ad altri tipi di vulcani, inclusi quelli con comportamento più complesso, fornendo finalmente uno strumento prezioso per affrontare con successo l’affascinante ma delicato problema della previsione delle eruzioni. Inoltre, la stima in tempo reale e in remoto, attraverso i satelliti, del tasso di accumulo magmatico apre la strada ad una pronta e precoce allerta, con anticipo di settimane o mesi, per qualunque vulcano, fornendo un contributo essenziale soprattutto laddove aree densamente popolate necessitano di evacuazione preventiva.

Tale studio costituisce il punto di arrivo di una ricerca durata tre anni nell’ambito di una tesi di dottorato del primo autore, Federico Galetto, presso l’Università di Roma Tre.

 

Foto di copertina: Pixabay

 

Leggi anche i seguenti articoli

www.ilpapaverorossoweb.it/article/etna-monitorare-le-micro-deformazioni-svelare-linizio-di-una-sequenza-eruttiva

www.ilpapaverorossoweb.it/article/individuato-il-cuore-pulsante-delletna-dallo-studio-delle-fontane-di-lava-del-2015

 

crowfunding adas

clicca e scopri come sostenerci