Un anticorpo monoclonale per contrastare la sindrome di Clouston

Autore:
Redazione
18/06/2020 - 04:21

Un recente studio dell’Istituto di Biochimica e Biologia Cellulare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IBBC) di Monterotondo, coordinato da Fabio Mammano e cofinanziato dalla Fondazione Telethon, ha permesso di individuare un anticorpo monoclonale, denominato abEC1.1, che legandosi ad una proteina chiamata connessina 30 (Cx30) è in grado di ripristinarne il normale funzionamento in presenza di mutazioni che causano la sindrome di Clouston.

I risultati della ricerca svolta in collaborazione con il Dipartimento di Fisica e AstronomiaGalileo Galilei” dell’Università di Padova e lo Shanghai Institute for Advanced Immunochemical Studies della ShanghaiTech University (SIAIS), sono pubblicati su EBioMedicine, del gruppo Lancet.

«La sindrome di Clouston è causata da mutazioni del gene GJB6 che fornisce le istruzioni per produrre la connessina 30 (Cx30), una proteina che si trova in diversi tessuti in tutto il corpo, inclusa la pelle, specialmente sul palmo delle mani e della pianta dei piedi, follicoli piliferi e letti ungueali, e svolge un ruolo nella crescita e nello sviluppo di questi tessuti», spiega Fabio Mammano.

«Le mutazioni del gene GJB6 che causano la sindrome cambiano i blocchi costitutivi di singole proteine, gli aminoacidi, nella Cx30. Sebbene gli effetti di queste mutazioni non siano completamente compresi, portano ad anomalie nella crescita, divisione e maturazione delle cellule nei follicoli piliferi, unghie e pelle».

Il lavoro è stato possibile grazie alla disponibilità dell’unico modello animale di questa malattia umana presso l’infrastruttura di ricerca INFRAFRONTIER/IMPC di Monterotondo, coordinata dal CNR, della quale Fabio Mammano è delegato nazionale.

La sindrome di Clouston, conosciuta anche come displasia ectodermica idrotica, è una malattia ereditaria caratterizzata da anomalie dei capelli (alopecia), delle unghie (distrofia ungueale) e della pelle (ipercheratosi palmoplantare); aree della pelle, in particolare sopra le articolazioni, che sono di colore più scuro rispetto alla pelle circostante (iperpigmentazione); punte delle dita allargate e arrotondate (clubbing). Attraverso questo studio i ricercatori hanno potuto esaminare l’efficacia di un potente anticorpo che agisce sulla connessina.

«Al momento non esiste un trattamento per la malattia ma gli studi condotti dal CNR-IBBC con l’anticorpo monoclonale abEC1.1 indicano che il trattamento, sia topico che sistemico, è in grado di ripristinare la normale omeostasi nei tessuti della pelle affetti dalle mutazioni di Cx30 che causano la sindrome di Clouston», conclude il ricercatore CNR-IBBC.

 

Illustrazione nel testo

Immagine al microscopio confocale multifotone di una ghiandola sebacea (in rosso) circondata da collagene (in azzurro/blu). Nel modello murino della malattia, le ghiandole sebacee, che si trovano accanto ai bulbi piliferi, risultano ipertrofiche a causa di un eccesso di proliferazione delle cellule (sebociti) che le compongono. I sebociti esprimono canali nella membrana plasmatica, detti emicanali, ciascuno composto da 6 connessine. La mutazione genetica che causa la malattia altera la funzione degli emicanali attraverso i quali transitano troppe molecole di ATP e ioni calcio. L'anticorpo monoclonale si lega (in coppia) agli emicanali dall'esterno riducendo il flusso di ATP e calcio. Ciò consente il ripristino della normale proliferazione dei sebociti e delle altre cellule della pelle che esprimono le connessine mutanti.

 

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