
Inceneritori e cementifici: quali rischi per ambiente e salute?

Una recente analisi condotta dall'Arpa, l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, effettuata sulla popolazione residente nelle vicinanze dell'inceneritore di Vercelli, ha evidenziato come le emissioni della struttura abbiano effetti devastanti sulla salute: aumento generale della mortalità del 20%, aumento del tumore del colon retto del 400% e del tumore ai polmoni del 180%, più un incremento notevole di cardiopatie, enfisemi e bronchiti croniche.
Questi sono dunque i dati allarmanti che emergono dalla ricerca a firma dei tecnici dell'Arpa, realizzata in un momento storico in cui l'utilizzo degli inceneritori come principale forma di smaltimento dei rifiuti continua, in controcorrente con gli altri paesi dell'UE, ad essere preferito a metodi di smaltimento più virtuosi e con un impatto minore sulla salute dei cittadini e sull'ambiente circostante.
Negli ultimi anni si è scelto di insistere ulteriormente su questa strada: risale, infatti, a circa due anni fa il decreto Clini, che prevede la possibilità di bruciare i CSS (combustibili solidi secondari) anche nei cementifici, in modo tale da ridurre il carico di lavoro degli inceneritori presenti sul territorio ed evitare di doverne costruire di nuovi (risparmiando così sugli enormi costi di costruzione e mantenimento di nuovi impianti). Ciò significa che i cementifici si trasformano quasi in dei veri e propri inceneritori, sebbene con una non trascurabile differenza: essendo impianti obsoleti (in gran parte costruiti negli anni 50) e pensati per altri scopi, molte delle misure di sicurezza previste negli impianti di incenerimento canonici vengono a mancare; in più si deve evidenziare come le quantità di emissioni consentite in questo tipo di strutture siano decisamente superiori a quelle previste per gli impianti di incenerimento, e il fatto che l'ottenimento di un'autorizzazione per procedere con la combustione sia in alcuni casi molto agevole. A rendere le cose più complesse concorre anche il fatto che in materia di combustione di CSS non c'è una vera chiarezza su quali siano i prodotti dai quali si ricavano scarti effettivamente dannosi o meno: si parte dai cartoni del latte fino ad arrivare a copertoni inutilizzati e molti altri prodotti la cui combustione produce notevoli quantitativi di rifiuti tossici, diossine e vari fumi dannosi (in particolare circa il triplo di emissioni di CO2 di un normale inceneritore).
La situazione è certamente più preoccupante nelle regioni settentrionali: dei 69 inceneritori attualmente attivi in Italia, più del 30% sono localizzati nella pianura padana; anche per quanto riguarda i cementifici abilitati alla combustione dei CSS, il numero diviene nettamente superiore man mano che si risale la penisola: 25 impianti nelle regioni settentrionali, contro i 5 del meridione. Nel triangolo tra le provincie di Milano, Lecco e Bergamo, la concentrazione di queste strutture è particolarmente elevata: 5 impianti in un raggio di appena 30km, record negativo non sono a livello italiano, ma anche europeo (tanto che si parla di "terra dei fuochi lombarda"); secondo un'indagine dell'Agenzia di ricerca europea di Ispra, i livelli di diossina presenti nel suolo sarebbero 25 volte superiori ai limiti di legge, per non contare le pericolose quantità di metalli pesanti rilevate nei terreni della zona. A nulla sembrano essere serviti i numerosi appelli e le raccolte di firme da parte di numerose associazioni (Medici per l'ambiente, Rete rifiuti zero Lombardia, Aria pulita): sembra che, mentre la popolazione abbia manifestato il proprio dissenso nei confronti di queste misure, i Comuni abbiano accettato senza battere ciglio.
Il minor numero di impianti non ha comunque risparmiato le regioni meridionali: lampante il caso di Barletta, dove una cementeria ha ottenuto un'autorizzazione a incenerire rifiuti pericolosi (principalmente oli), liberando così nell'aria della città una quantità di sostanze inquinanti ben superiore ai limiti imposti dalla legge, mettendo quindi a repentaglio la salute della popolazione.
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