Salemi, il bene confiscato alla mafia diventato cucina che racconta la Sicilia

Autore:
Redazione
13/06/2022 - 20:24

"La nostra cucina racconta la Sicilia". Non esiste probabilmente slogan migliore per descrivere quanto riesce ad offrire ai suoi ospiti il turismo rurale "al Ciliegio".
Un luogo che, aperto alla fine del 2008, non propone però solo del buon cibo, con tante pietanze semplici preparate coi prodotti della terra, ma che ha anche un forte valore simbolico rappresentando quella società civile che sottrae spazio alla mafia.
Ci troviamo in provincia di Trapani, terra straordinariamente ricca di storia e cultura, feudo del boss latitante Matteo Messina Denaro, capo del mandamento di Castelvetrano. Qui, in contrada Fiumelungo, a Salemi, si trova appunto il turismo rurale "al Ciliegio", una delle attività di promozione sociale alla legalità che conduce la "Fondazione San Vito Onlus" di Mazara del Vallo, braccio operativo della Caritas diocesana.
L'immobile che ospita la struttura è il vecchio casolare/magazzino rurale che era al servizio di alcuni vigneti e seminativi confiscati alla mafia: fu tolta al patrimonio di Calogero Musso, condannato all'ergastolo, considerato reggente del clan mafioso di Vita, tra Salemi e Calatafimi. Il casolare è passato nella gestione del patrimonio indisponibile del Comune di Salemi che lo ha affidato in comodato per dieci anni alla Fondazione San Vito. Nel gennaio 2019 la Fondazione è risultata vincitrice del nuovo bando di affidamento per altri dieci anni.

Oggi alle pareti del vecchio casolare troviamo quadri che ritraggono il giudice Paolo Borsellino. Al primo piano c'è la piccola cucina, a pian terreno bagni, bar e pochi tavoli. Nel tempo sono stati ampliati i posti a sedere, con la realizzazione di un'aula didattica multiuso che, finanziata dalla Fondazione Vodafone Italia ed utilizzata per lo svolgimento di corsi e laboratori destinati a studenti ed associazioni, alla bisogna serve ad ampliare la capienza del ristorante.
In totale i coperti sono circa sessanta. Nella sala non trovate la televisione: una scelta precisa dei gestori che vogliono che «a tavola si coltivino le relazioni, senza essere distratti da altro».
Negli anni il turismo rurale è diventato una meta per buongustai e per chi vuole godersi la natura dalle ampie vetrate della sala ristorante o lungo i sentieri che conducono all'albero-simbolo di ciliegio.
In cucina c'è Annamaria Bongiorno, in sala, invece, la sorella Lucia e Salvatore Trombino. Sono le sorelle Bongiorno che preparano le conserve poi servite a tavola, così come anche le busiate, la tipica pasta del trapanese. «In tempo di primavera e d'estate coltiviamo gli ortaggi qui nel terreno a fianco - racconta il presidente della Fondazione, Vito Puccio - per realizzare piatti con prodotti a km zero».
Poco distante dal casolare c'è un impianto fotovoltaico che consente alla struttura una quasi totale autonomia dal punto di vista dell'approvvigionamento elettrico. La rotta che negli anni ha contraddistinto l'esperienza de "al Ciliegio" è quella del dialogo col territorio (su diversi livelli: istituzionale, associazionismo, Chiesa, imprese agricole e cooperative sociali) in una logica di costruzione di scelte condivise nell'ottica del bene comune.
«Sarebbe fin troppo semplice pensare a questa nostra realtà come un luogo dove mangiare, in assenza degli aspetti dialoganti e umani», sottolinea ancora Puccio. La cucina casalinga, l'orto al servizio esclusivo dei piatti che vengono preparati, l'amore per il proprio lavoro dei dipendenti, la cura delle terre circostanti (vigneti e foraggi) sono tutti aspetti che la Fondazione promuove, non soltanto nell'ottica di informare, ma, soprattutto, di sensibilizzare ai temi della cura dell'umano e dell'ambiente. «Quella de "al Ciliegio" è un'esperienza prima da vivere e poi da raccontare», dice chi c'è stato.
(Fonte: ANSA)

 

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