
Che cosa è l'alcaptonuria, malattia rara e invalidante

Biotecnologi, reumatologi, ortopedici, urologi, oculisti, pediatri ed altri specialisti insieme per combattere l'alcaptonuria, una malattia genetica ereditaria, la prima scoperta al mondo alla fine dell'Ottocento.
Una malattia considerata rarissima, 63 casi nel nostro Paese, uno ogni 900.000/1.000.000 di abitanti. Ma a Siena una task force, formata da ricercatori da una parte e da specialisti che lavorano in ospedale sui casi concreti dall'altra, sta cercando soluzioni per combattere questa patologia invalidante, provocata da un difetto di un gene che produce un enzima non ben funzionante e, per questo, non un grado di “digerire” completamente un aminoacido, formando dei “depositi scuri” tossici, così li chiamano i ricercatori, che si posano sui tessuti danneggiandoli.
Nel mirino di questo killer principalmente le articolazioni, ma problemi anche a carico del cuore e dei reni.
«Questo pigmento - spiega Annalisa Santucci, direttrice del Dipartimento di Eccellenza di Biotecnologie, Chimica e Farmacia dell'Università di Siena - distrugge i tessuti in particolare quello connettivo e le cartilagini. Quindi i pazienti iniziano ad avere dolori molto invalidanti e le articolazioni distrutte devono essere sostituite con protesi all'anca, ginocchio, femore e spalla. Per quanto riguarda i danni al cuore, dobbiamo sostituire le valvole aortica o mitralica».
La fascia d'età più colpita è quella tra i trenta e i quaranta anni, ma questa patologia può essere anche trovata precocemente nei bambini, nei figli di portatori sani o con un genitore malato. Da un punto di vista clinico, nei bimbi la malattia si scopre quando nelle urine che bagnano i pannolini si trovano questi depositi tossici che hanno un colore più scuro.
A Siena la particolare équipe sta lavorando su un terreno di ricerca multidisciplinare (coinvolti anche l'Unità Operativa di Pediatria diretta da Salvatore Grosso e il Reparto di Reumatologia diretto da Bruno Frediani). E, grazie a questa ricerca, Siena è diventato uno dei punti di riferimento a livello internazionale con pazienti che arrivano da ogni dove per avviare “un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale”.
«Noi siamo - dice la professoressa Santucci - il gruppo più importante al mondo che studia i meccanismi molecolari di questa patologia. Una decina di anni fa sono stata coinvolta da un network internazionale per lavorarci. Gli unici biochimici del gruppo siamo noi perché gli altri sono dei clinici. Mentre stavamo facendo le nostre ricerche sperimentali di laboratorio ho anche fondato a Siena, insieme alla professoressa Silvia Sestini, aimAKU, l'associazione nazionale dei malati di alcaptonuria che ha iniziato a raccogliere in tutta Italia pazienti e che è un importante punto di riferimento».
Il lavoro svolto finora comunque sta già dando dei risultati. «La terapia ideale - precisa il professor Frediani - sarebbe quella di sostituire il gene che provoca il cambiamento dell'enzima alterato che porta alla produzione dei depositi tossici. Ma ancora non è possibile».
L'alternativa è cercare di ridurre la produzione dell'acido. Un aiuto quindi potrebbe arrivare da un farmaco che è stato sperimentato clinicamente, nell'ambito di un progetto europeo, su un totale di circa 150 pazienti, numero tutto sommato consistente per una malattia rarissima, i cui risultati definitivi si avranno quest'anno.
Sarebbe un segnale importante, per chi studia le malattie rare, che sull'alcaptonuria si arrivasse ad un punto fermo. «Un'altra possibilità terapeutica - prosegue Frediani - è quella di utilizzare farmaci che combattono l'infiammazione indotta dalla presenza cronica del pigmento ocronotico e da un'altra sostanza, l'amiloide, che proprio il gruppo della professoressa Santucci ha trovato nell'alcaptonuria. Questa malattia rarissima è perciò un modello di studio per tante altre malattie rare».
(AGI/Vincenzo Marsala)
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