Infezioni ospedaliere: ogni anno tra i cinque e i settemila morti

Autore:
Sarah Donzuso
04/11/2016 - 12:23

Tutto pronto per l’intervento: lego i capelli, tolgo tutti gli accessori che ho addosso, tolgo i miei vestiti e indosso la camicia sterilizzata. Arriva l’infermiere che mi fa accomodare nella barella per andare dalla stanza alla sala operatoria che si trova due piani più in giù.

Io, che non amo particolarmente gli ascensori, stringo i denti e chiedo all’infermiere di fare in fretta: tra l’ansia dell’intervento e quella dell’ascensore il mix non è proprio perfetto. 

Arriviamo in corridoio e vedo che l’infermiere piggia sul pulsante che avevo usato io la mattina quando ero arrivata in ospedale e con l’ascensore (odiato) ero salita in camera. 

Lì dimentico ansia e intervento e subito, destandomi dalla barella, chiedo: “ma usiamo lo stesso ascensore che viene usato dalle persone che vengono in visita dai pazienti? E se hanno un raffreddore, la febbre, non è pericoloso per i pazienti?”.

La risposta fu la più semplice di tutte: “quello destinato ai pazienti è rotto e quindi dobbiamo usare questo”. 

Non dissi nulla, rimasi sconfortata e scoraggiata ma ricordo che pregai affinché tutto andasse bene.

Dopo 5 ore di intervento, la camicia sterilizzata che nel frattempo si era un po’ aperta, due tubi dal naso che uscivano per far drenare il sangue, tornai in camera con la barella trasportata attraverso lo stesso ascensore dell’andata.

Dopo cinque giorni tornai a casa, stavo bene.

Il mio angelo custode aveva lavorato in maniera egregia, così come tutti i dottori che mi seguirono prima, durante e dopo.

Ma il contesto non andava: io ero stata fortunata, ma gli altri lo sono?

Secondo alcune stime in Europa i casi di persone meno fortunate, che contraggono infenzioni durante la permanenza in ospedale, sono oltre 2,5 milioni l’anno: numeri che fanno davvero paura. Numeri che devono indurre a una riflessione perché se si guarisce dal cancro o da un’appendicite, non si può rischiare la vita perché l’ospedale non è ben disinfettato e pulito. E non parliamo dei luoghi comuni ma delle sale dedicate ai pazienti che poi sono quelle che - secondo le ricerche - sono più pericolose. 

A quanto ha scoperto Alessandro Cassini, dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC), il peso complessivo per l’Europa di queste infezioni riferibili a assistenza ospedaliera è maggiore del peso di altre malattie trasmissibili quali influenza, HIV/AIDS e tubercolosi. Le infezioni considerate nell’analisi sono la polmonite, le infezioni delle vie urinarie, quelle delle ferite chirurgiche, infezioni da Clostridium difficile, la setticemia neonatale, infezioni del sangue (sepsi) legate a altre infezioni.

Come agire?

Disinfettando bene, si potrebbe pensare. Purtroppo non sempre è così perché può capitare che lo stesso disinfettante non vada bene: secondo uno studio di pochi giorni fa, l’esposizione della Klebsiella pneumoniae alla clorexidina, un disinfettante largamente utilizzato sia in ambiente domestico che negli ospedali, potrebbe indurre resistenza alla colimicina (colistina), l’antibiotico considerato l’ultima spiaggia di trattamento per le forme multi-drug resistant.

A dare la ferale notizia è uno studio pubblicato su Antimicrobial Agents and Chemotherapy, la rivista dell’American Society for Microbiology.

E nel nostro paese come va?

"In Italia il 56.2% dei sinistri per infezione è contratto nell'area chirurgica, soprattutto nei reparti di Ortopedia e Traumatologia, Chirurgia generale e nei Dea/Pronto Soccorso. Lo dimostra un recente studio di Marsh spa secondo cui le infezioni ospedaliere rappresentano la complicanza più frequente e grave dell'assistenza sanitaria". Ad affermarlo, in una nota, Ciro Pempinello, presidente del III Convegno su Moderni Orientamenti nella Diagnosi e Terapia delle Infezioni Osteoarticolari, organizzato dal reparto di Ortopedia e Traumatologia ospedale San Gennaro di Napoli.

"Secondo dati piuttosto allarmanti della Società italiana di malattie infettive e tropicali, in Europa si registrano 386mila infezioni all'anno e 25mila decessi da germi resistenti, in linea con le stime per le quali in Italia 5-7mila morti annue sono riconducibili ad infezioni nosocomiali con un costo associato di oltre 100 milioni di euro - ha spiegato il professor Pempinello - Con il cambiamento dell'assistenza sanitaria sono aumentati i luoghi e le modalità di cura extra-ospedalieri e, di conseguenza, si è ampliato il concetto di infezioni".

 

 

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