Ogni anno tre milioni di pazienti tornano in ospedale, curati a pezzi

Autore:
Redazione
29/10/2018 - 12:36

Su 20 milioni di pazienti che arrivano ogni anno in pronto soccorso, ben 3 milioni tornano poco dopo in ospedale perché visitati a pezzetti”, ovvero di volta in volta dal cardiologo o dal neurologo o dal diabetologo, e non curati con il necessario sguardo d'insieme. È la denuncia che arriva dal 119° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI), che si è svolto a Roma dal 26 al 28 ottobre.

Le malattie croniche non trasmissibili, come patologie cardiovascolari, tumori e diabete, sono la nuova emergenza sanitaria: in Italia sono responsabili del 92% dei decessi e sempre più spesso riguardano anche i più giovani. A fronte di questo, «manca la capacità di seguire i pazienti in maniera strutturata, individuando priorità di intervento senza perdere di vista la complessità del caso», spiega Franco Perticone, presidente SIMI. «Oggi la maggior parte dei pazienti cronici è affetta da più patologie la cui interazione produce condizioni cliniche complesse, situazioni spesso non gestibili dal solo specialista d'organo, ma che necessitano della visione olistica dell'internista».

Basti pensare che solo il 17% dei 20 milioni di italiani che ogni anno accedono a un Dipartimento di Emergenza-Urgenza e Accettazione viene ricoverato in un reparto di Medicina Interna: 3,5 milioni di pazienti. Ma di questi ben 3 milioni vi arrivano perché una patologia cronica si è riacutizzata a causa di una gestione clinica troppo frammentaria. Negli attuali sistemi organizzativi degli ospedali questi pazienti rimangono infattidi tutti e di nessuno”.

«L'assistenza socio-sanitaria deve adeguarsi alle mutate esigenze epidemiologiche, concentrando l'attenzione sullo stato di salute complessivo della persona più che sulla singola malattia». Ed è proprio questo il compito degli internisti, specialisti delle diagnosi difficili, vera e propria risorsa per il Servizio Sanitario Nazionale, perché in grado di ridurre gli eventi avversi che generano ulteriori ospedalizzazioni.

(ANSA)

 

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