Sempre più giovani a rischio Alzheimer, il 10% dei casi è under 65

Autore:
Redazione
05/11/2019 - 03:29

La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza degenerativa che colpisce in modo progressivo le strutture cerebrali. Nonostante siano più a rischio gli anziani, si assiste a un incremento dell'insorgenza in soggetti più giovani. Se, infatti, l'esordio della patologia si conclama prevalentemente in età senile, oltre i 65 anni, è sempre più frequente che si manifesti in precedenza: il 5-10% di tutti i casi riguarda persone al di sotto dei 65 anni; con la possibilità, in casi di malattia genetica dominante, per cui i figli possono ereditare da uno dei genitori la parte di DNA che genera la malattia, di un esordio tra i 35 anni e i 60 anni di età. Per questo motivo è bene conoscere i sintomi della sua forma precoce.

«La malattia di Alzheimer a esordio giovanile include principalmente le forme familiari che presentano una notevole compromissione della memoria episodica. Rispetto ai malati di Alzheimer in età senile, le persone affette da Alzheimer precoce sono meno colpite da malattie cerebrovascolari, renali e cardiache. Anche se il minimo comune denominatore è lo stesso, tra le caratteristiche cliniche proprie dei pazienti con malattia giovanile ritroviamo deficit delle funzioni esecutive e deficit della produzione verbale, che si associano alla perdita della memoria a breve termine. Alcuni pazienti presentano poi un'importante compromissione del processo visivo di individuazione e percezione degli oggetti», spiega Salvatore Cuzzocrea, professore ordinario di Farmacologia all'Università di Messina.

In questo contesto risulta quindi molto importante una diagnosi precoce, con la possibilità di aprire a trattamenti farmacologici in grado di ritardare l'esordio della malattia.

«Numerose evidenze oggi dimostrano un'associazione tra malattie neurodegenerative, in particolare malattia di Alzheimer, e neuroinfiammazione che può avere inizio tempo prima che si abbia una perdita significativa della popolazione neuronale. Il processo neuroinfiammatorio è caratterizzato da interazioni di tipo immunitario che determinano l'attivazione di microglia, astrociti, mastociti residenti nel sistema nervoso centrale, citochine, chemochine e relativi processi molecolari. L'attivazione di questo pool di cellule non neuronali rappresenta la vera causa del danno degenerativo a carico del neurone», aggiunge l’esperto.

Controllare la neuroinfiammazione cerebrale potrebbe dunque preservare la memoria nei soggetti affetti da Alzheimer.

«L'insorgenza di fenomeni neuroinfiammatori rappresenta dunque un primo campanello d'allarme e nel contempo una finestra temporale sulla quale iniziare ad agire. Recenti studi hanno sottolineato come la molecola PEALut (ultramicrocomposito PEALut, palmitoiletanolamide co-ultramicronizzata con Luteolina) sia in grado di modulare l'azione delle cellule non neuronali e l'effetto dello stress ossidativo migliorando le funzioni cognitive e i disturbi comportamentali dei pazienti. Da ciò consegue che il moderno intervento terapeutico deve focalizzarsi su rimedi in grado di contrastare la neurodegenerazione modulando l'attivazione delle cellule non neuronali residenti nel sistema nervoso centrale», conclude Cuzzocrea.

(ANSA)

 

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