INGV afferma: “Radon dalle faglie dell'Etna pericoloso per la salute”

Autore:
Andrea Cuscona
17/06/2019 - 09:34

Croce e delizia, portatore di vita e di morte, ricchezza e distruzione: tutto questo, e tanto altro, rappresenta il vulcano attivo più grande d'Europa, l'Etna, nel rapporto con la popolazione che vive alle sue pendici. Sin da tempi remoti le sue dimostrazioni di forza immane, dal profondo delle viscere della Terra, hanno segnato la memoria collettiva. Ma se da un lato le eruzioni, le emissioni di ceneri, gas e lapilli, le colate laviche e i sismi legati alla sua attività sono ben conosciuti e studiati, dall'altro lato solo negli ultimi anni l'attenzione della comunità scientifica si concentra anche su un fenomeno altrettanto impattante sulla vita di centinaia di migliaia di siciliani.

Lo scorso maggio un articolo a firma di esperti dell’INGV, comparso sulla rivista internazionale Frontiers in Public Health, ha acceso i riflettori sulla pericolosità del gas radon che fuoriesce dalle tante faglie presenti sui versanti dell'Etna. In realtà già da qualche anno è stato acclarato quanto sia nocivo il radon proveniente dal sottosuolo, che inconsapevolmente assorbiamo anche tramite l'acqua proveniente dalle tubature. Anche i materiali con cui sono costruite le abitazioni, nonché il tipo di suolo sottostante, sono stati oggetto di studi che mettono in guardia da un pericolo reale quotidiano. Un argomento di sicuro interesse, che ci riserviamo di trattare separatamente. La nostra attenzione, stavolta, si concentra sulle emissioni di questo gas a seguito delle attività vulcaniche. Per capire meglio l'oggetto del nostro articolo, bisogna prima definire cosa sia il radon (noto sin dal 1898 grazie agli studi dei coniugi Curie).

Secondo la definizione riportata da EpiCentro, il portale dell'epidemiologia della sanità pubblica a cura dell'Istituto Superiore di Sanità, «il radon (Rn) è un gas inerte e radioattivo di origine naturale. È un prodotto del decadimento nucleare del radio all’interno della catena di decadimento dell’uranio. Il suo isotopo più stabile è il radon-222 che decade nel giro di pochi giorni, emettendo radiazioni ionizzanti di tipo alfa e formando i suoi cosiddetti prodotti di decadimento o “figli”, tra cui il polonio-218 e il polonio-214 che emettono anch’essi radiazioni alfa. Il radon è inodore, incolore e insapore, quindi non è percepibile dai nostri sensi. Se inalato, è considerato molto pericoloso per la salute umana poiché le particelle alfa possono danneggiare il DNA delle cellule e causare cancro al polmone. La radioattività del radon si misura in Becquerel (Bq), dove un Becquerel corrisponde alla trasformazione di un nucleo atomico al secondo. La concentrazione nell’aria si esprime in Bq/metro cubo, indicando così il numero di trasformazioni al secondo che avvengono in un metro cubo d’aria. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), attraverso l’International Agency for Research on Cancer (IARC), ha classificato il radon appartenente al gruppo 1 delle sostanze cancerogene per l’essere umano».

Lo studio dell'INGV di cui abbiamo accennato in apertura non fa che acclarare quanto già sappiamo sulla pericolosità del radon, ma adesso disponiamo di un corpus dettagliato relativo all'area etnea. Dopo tre anni di rilevamenti nei territori di Giarre, Paternò, Zafferana Etnea, Aci Catena e Aci Castello gli esperti rivelano che «i sensori hanno rilevato concentrazioni medie annue spesso superiori a 100 Bq/m3 (Bequerel per metro cubo), che corrisponde al valore di primo livello di attenzione per esposizione media annuale raccomandato dall'OMS. In alcuni casi, tale concentrazione media è risultata maggiore di 300 Bq/m3, con punte superiori a 1000 Bq/m3 registrate per molti mesi consecutivamente. Questi dati completano i rilevamenti delle concentrazioni di radon misurate nei terreni dell’Etna negli anni passati, che hanno mostrato valori variabili da poche migliaia a oltre 70.000 Bq/m3. Lo studio documenta, inoltre, che le abitazioni con maggiore presenza di radon al loro interno sono ubicate in prossimità di faglie attive. In altre parole, più le case monitorate erano ubicate in prossimità delle faglie, più è risultata alta la concentrazione di radon al loro interno. Questo dato conferma, una volta di più, che la pericolosità delle faglie etnee è data non solo dalla loro sismogeneticità ma anche dalla loro permeabilità ai gas, consentendo la risalita del radon».

A conferma di quanto emerso dalla ricerca, consideriamo che a livello mondiale il radon è considerato il contaminante radioattivo più pericoloso negli ambienti chiusi ed è stato valutato che il 50% circa dell’esposizione media delle persone a radiazioni ionizzanti è dovuto ad esso. Insomma, un nemico potenzialmente mortale proprio in casa o sul luogo di lavoro.

Un altro studio, condotto nel 2012 dall'Università degli Studi di Catania in collaborazione con ARPA Sicilia, si è focalizzato invece sulla presenza di radon nelle grotte dell'Etna: le conclusioni affermano che, in generale, si riscontrano valori che non destano preoccupazione dal punto di vista radioprotezionistico per l’uomo. In particolare, i tenori più elevati sono stati misurati nella grotta del Santo, sfruttata poche volte l’anno per funzioni religiose o da qualcuno come luogo di preghiera; mentre, il valore più basso è relativo alla grotta Madonna della Roccia, anch’essa utilizzata per scopi religiosi.

Tuttavia, visto nella sua complessità ed in relazione all'ampiezza dell'area etnea in cui vivono gli abitanti, il fenomeno della dispersione in superficie di gas radon risulta preoccupante. Basti pensare che il radon può essere considerato come la seconda causa, in ordine di importanza, di cancro ai polmoni. Seconda una stima, nella sola Europa rappresenta la causa di morte per oltre 20.000 persone ogni anno, di cui oltre 3.000 in Italia, dove costituisce proprio la seconda causa di tumore al polmone dopo il fumo da tabacco. Per i fumatori, già di per sé sovraesposti all'incidenza di cancro polmonare e alle vie respiratorie superiori, si aggiunge l’effetto combinato di radon e tabacco, un mix letale che aumenta ulteriormente le percentuali. Questo perché il gas radioattivo che si deposita nei polmoni prosegue il suo naturale processo di decadimento. Ma i rischi per la salute coinvolgono, come detto, tutti coloro che sono esposti, dunque anche i non fumatori.

Sotto la lente d'ingrandimento, dunque, finiscono giocoforza tutte le abitazioni, soprattutto ai piani bassi, i box, le cantine, i magazzini, soprattutto se ubicati sotto il livello del suolo. Un ambiente chiuso e poco ventilato, insomma, può essere a rischio. Anche l'acqua che normalmente utilizziamo per lavarci, bere, irrigare il giardino o alimentare le piscine, proveniente dalle tubature sotterranee, è un vettore di questo invisibile e inodore nemico per la salute.

Cosa si può fare, dunque, per contrastare questa minaccia? Non è possibile eliminare del tutto il radon dagli ambienti in cui viviamo e lavoriamo, ma esistono accorgimenti di varia efficacia per ridurne la concentrazione nei luoghi chiusi. Innanzitutto, provvedere alla depressurizzazione del suolo, realizzando sotto o accanto la superficie dell’edificio un pozzetto per la raccolta del radon, collegato a un ventilatore. In questo modo, si crea una depressione che raccoglie il gas e lo espelle nell’aria esterna all’edificio (all'aperto si dissolve rapidamente), smorzandone di parecchio la pericolosità. È anche molto utile una buona pressurizzazione dell’edificio perché è aumentando la pressione interna che si può contrastare la risalita del radon dal sottosuolo. Altra importante avvertenza: migliorare la ventilazione dell’edificio. Fondamentale è, poi, fare in modo che per le nuove costruzioni si adottino criteri anti-radon, come sigillare le possibili vie di ingresso dal suolo, predisporre un vespaio di adeguate caratteristiche cui poter facilmente applicare, se necessario, una piccola pompa aspirante. Sono misure importanti, anche se richiedono denaro, una progettazione ad hoc e tecnici qualificati per la realizzazione.

Una preziosa e dettagliata guida per il cittadino è fornita dall'Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro (ISPESL). A livello nazionale, infine, è stato già intrapreso il Piano Nazionale Radon, strutturato su base pluriennale per realizzare, in modo coordinato sul nostro territorio, il complesso di azioni necessarie per ridurre il rischio di tumore polmonare associato all’esposizione al radon, sulla scorta della Direttiva europea in materia di radioprotezione.

 

In copertina: Etna (Foto di Pixaline - Pixabay)

 

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