Roberto Alosi: “La CGIL rappresenta l’anello di congiunzione con il territorio, ma non troviamo interlocutori”

Autore:
Antonio Andolfi
23/02/2021 - 04:35

In questi tempi di crisi epocale, dovuta al sommarsi della preesistente grave congiuntura economica con quella procurata dalla pandemia che ci flagella da circa un anno, è importante puntare i riflettori sulla zona industriale di Siracusa. Essa, rappresentando ancora il grosso del PIL provinciale, influenza parecchio tutto il territorio amplificando sia in positivo che in negativo il suo vivere.

Dibattiamo la questione con Roberto Alosi, segretario generale della CGIL provinciale di Siracusa.

 

La russa LUKoil da mesi si muove in maniera poco chiara. Quali potrebbero essere le sue prossime intenzioni?

«Siamo preoccupati del suo comportamento perché a parole ci vuole confortare, ma nei fatti si comporta in maniera differente. È per questo che abbiamo contatti con il nazionale per prevenirne le mosse. Cosa c’è dietro lo smaltimento coatto delle ferie e la fermata d’impianti non più a pieno regime? Le prossime scelte che hanno in serbo sia la LUKoil sia la Sonatrach ci tengono in allerta, e in più tace Confindustria. Tutto ciò contrasta con i discorsi dell’UE sulla Next Generation e sulle scelte energetiche. Ci poniamo il quesito: quale sarà la scelta delle raffinerie rispetto alla rivoluzione verde? Oggi per la CGIL il principale e non più derogabile argomento da affrontare è quello del risanamento ambientale. Se non si risolve davvero in questi anni, insieme a tutte le componenti presenti sul territorio, vedremo passare da lontano la grande possibilità dal Recovery Fund con i relativi investimenti sul risanamento e rilancio industriale. Affrontare questo lavoro significa innanzitutto risanare la rada di Augusta. È un problema di decenni che oggi, tramite il Recovery, può essere attuato. Ma dev’esserci un’accelerazione concreta perché non possiamo fallire anche questa volta. È nella svolta che richiede l’UE, quella della decarbonizzazione, per cui il risanamento è propedeutico a qualsiasi scelta che verrà. Ma si dovrà sbloccare l’inaccettabile presa di posizione dell’ENI che, tenuta al risanamento da mercurio, non accetta gli studi di ISPRA e CNR opponendo giustificazioni. La sua intenzione finora negativa è da risolvere in sede politica proprio perché è un’azienda a partecipazione statale».

Quindi in primo piano deve porsi la salute non il profitto?

«Certo, il mercurio c’è ed è nocivo. Ma affermo di più. Il drenaggio della rada, con strumenti tecnologicamente avanzati, lo richiede anche lo sviluppo del porto d’Augusta. Difatti, le attuali navi oceaniche che verrebbero hanno un pescaggio notevole e necessitano di una maggiore profondità per l’approdo. Per cui è necessario risolvere ciò, pena la continuazione dell’inquinamento e la mancanza di sviluppo del porto di Augusta e di tutta la zona».

Eppure, si vuole la costruzione di un deposito GNL ad Augusta. La vostra posizione a riguardo?

«È un netto no, perché a risanamento avvenuto avremmo sia una rada ulteriormente appesantita, fra navi militari, anche portaerei, grandi petroliere e l’arrivo di grandi navi commerciali, sia i dettami precisati dall’UE che puntano su un’economia green. Per cui non ha senso ritornare nella vecchia direzione di un deposito di fonti fossili anche se questo gas è meno impattante. Per raggiungere l’obiettivo Green è necessaria una cabina di regia che possa dare orientamenti e mettere in campo progetti chiari, ma finora non abbiamo trovato interlocutori. Alle multinazionali presenti non interessa. Essa hanno effettuato solo dei miglioramenti nella produzione, ma siamo ben lontani dal voler imboccare una sostenibilità. Si deve invece creare un tavolo intorno al quale le parti pubbliche, le imprese, i sindacati, i rappresentanti di categorie, ecc. interagendo, facciano nascere progetti a lungo respiro e con precisi cronogrammi per il raggiungimento degli obiettivi della Next Generation. L’UE su tutto questo ha fissato delle precise scadenze».

Sappiamo che in zone industriali europee sono stati raggiunti risultati positivi di risanamento.

«Certo, quindi ciò è possibile e su ciò lottiamo».

Esiste il concreto pericolo di deviazione dei soldi che devono arrivare dal Recovery Fund, anche se l’UE ha precisato la destinazione territoriale del 65-70% a progetti per il Sud.

«È vero. Per questo è importante rispondere al più presto con progetti credibili e alternativi che facciano ripartire con tali investimenti l’occupazione sulle linee definite dall’UE. Ma devono presentarsi elaborazioni esecutive e cantierabili da parte di chi dovrà decidere, non l’esibizione di semplici fogli come ha fatto ultimamente il governatore Musumeci. Sappiamo che al Nord su ciò sono più attrezzati. È per questo che c’è bisogno di una sinergia che noi non vediamo, la conseguenza sarebbe l’ennesima visione di un treno carico di risorse che perderemmo».

Non pensa che la CGIL debba, da soggetto presente sul territorio, fare un salto di qualità e, cercando d’essere non più solo il sindacato dei lavoratori, fungere da cerniera fra le categorie quali Confcommercio, CNA e altre – lasciando stare la Confindustria che non accetta più dialoghi, ma rimane supina verso le multinazionali -, proponendo nuovi indirizzi?

«È quello che proviamo a fare. Dobbiamo mettere in campo tutti i nostri strumenti ai vari livelli per affrontare le nuove sfide. Ci si deve muovere per non perdere risorse indispensabili anche su sanità, scuole, terziario, ecc., ne conosciamo l’estremo bisogno. Ma è con fatica che ci facciamo promotori di tavoli fra amministrazioni, confederazioni di categorie e altro, perché le sedi di confronto si sono ridotte. Diciamo loro: ascoltate almeno le proposte dell’unico soggetto sociale che vive sul territorio, che segue i bisogni non solo dei lavoratori. Invece ci troviamo in una situazione paradossale: chi dovrà prendere importanti decisioni politiche non ha più contatti col territorio e non vuole conoscere le nostre proposte, mentre abbiamo capito che, per queste scelte, è necessario un maggiore livello di cultura civile. Sentiamo l’estrema difficoltà di interloquire con tanti protagonisti, troviamo ciò spesso anche nelle amministrazioni locali che dovrebbero avere tutto l’interesse a partecipare con noi».

La CGIL, per andare contro questa crisi, non potrebbe allearsi con Confcommercio e CNA per la costruzione di una rete fra botteghe, negozi commerciali, ristoratori, ecc. che porterebbe vantaggi a tutti facendo girare l’economia locale? Ciò sarebbe anche uno sviluppo delle produzioni locali pregiate per l’esportazione e il turismo.

«Difatti, su ciò ci siamo incontrati con queste confederazioni. Inoltre, abbiamo intrapreso iniziative analoghe con i Comuni per combattere la povertà. È successo a Canicattini e lo stiamo per fare a Priolo e Noto. Ma abbiamo dovuto protestare con manifestazioni di piazza per costringere i sindaci a sedersi con noi. È paradossale reclamare dai Comuni un tavolo per discutere dei diritti essenziali dei loro cittadini. Quest’onda lunga di miseria deve essere fermata, non è compito principe delle amministrazioni? Un altro tema su cui ci stiamo impegnando è quello dell’agricoltura. Vogliamo che il settore esca dall’attuale provincialismo industriale. Conosciamo le sue potenzialità e sappiamo che si ricava poco per ovvi motivi per cui c’è bisogno d’industrie di trasformazione dei prodotti agricoli attraendo investimenti per i nostri prodotti di eccellenza riconosciuti da tutti. Devono spuntare manager illuminati con una visione di prospettiva. Comunque, tanto dipende dalla risoluzione di questa crisi politica perché il nostro territorio non è più capace d’assorbire altro tempo inutile».

Difatti, fra poco si presenteranno le importantissime scadenze di marzo su cassa integrazione e altri ristori.

«È una questione davvero pericolosa di cui tener conto. C’era un discorso aperto fra CGIL nazionale e il governo Conte, ma oggi stiamo aspettando le mosse del governo Draghi e soprattutto nel meridione si rischia di ridare spazio alla destra sovranista europea che non ha digerito la decisione di aiutare l’Italia con il 30% del totale sul Recovery Fund dirigendolo specialmente verso il sottosviluppato Sud. Questi Paesi potranno con forza far rivedere quelle scelte con la conseguenza di una maggiore tensione sociale qui dove si è già al limite».

 

In copertina: Foto di Davide Mauro - CC BY-SA 2.5

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L'articolo che avete appena letto è stato pubblicato previa autorizzazione della testata giornalistica La Civetta di Minerva che ringraziamo; il testo è stato modificato dal suo autore prima della pubblicazione sul nostro quotidiano.

 

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