Il lavoro ai tempi del Coronavirus può insegnarci qualcosa?

Autore:
Andrea Cuscona
23/03/2020 - 01:55

In un momento di emergenza globale causata dalla pandemia da Covid-19 è mutato il modus vivendi di miliardi di persone al Mondo, alterando la stessa percezione della quotidianità. A macchia di leopardo, diversi paesi hanno varato misure straordinarie per fronteggiare una situazione altrettanto straordinaria, per quanto non del tutto inedita. Anche il recente passato ha consegnato agli annali altre epidemie, di notevole portata; tuttavia la contagiosità di questo Coronavirus e la sua più alta incidenza in termini di mortalità ha costretto ad una riflessione più ampia che interessa trasversalmente i settori sociali, politici, scientifici, sanitari e via dicendo.

Non è al momento possibile calcolare con esattezza l'impatto di una delle crisi economiche più gravi su scala mondiale degli ultimi decenni, che potrebbe rivelarsi pari o superiore a quella causata dal fallimento improvviso e imprevisto della banca Lehman Brothers: una crisi finanziaria limitata ai mutui subprime USA trasformatasi in una sofferenza sistemica che poi travolse anche l’economia. La peggiore mai vista dal 1929, dati alla mano. Guardando all'Italia sono già stati lanciati numerosi allarmi dagli esperti del settore, per i quali si può mettere in conto una perdita di 5-7 miliardi di euro nel caso in cui la crisi si prolunghi fino a maggio, accompagnata ad una riduzione del PIL dello 0,2% nell'arco di un anno. Eppure, anche in tempi drammaticamente difficili, è possibile e persino doveroso ripensare alle nostre abitudini secondo un'ottica diresilienza”.

La principale riflessione riguarda le dinamiche del mondo del lavoro. Si sta parlando sempre più in queste settimane di smart working o lavoro agile ed anche una semplice consultazione su Google Trends (per restare in tema) conferma come il termine stia conoscendo un'impennata nelle ricerche. A fronte della chiusura di interi comparti produttivi di beni e servizi e della necessità di lasciare a casa tantissimi dipendenti si evince come questa modalità possa rappresentare un nuovo e futuribile modo di lavorare. Bisogna però chiarire, preliminarmente, la vera natura del lavoro agile. In Italia, ad esempio, siamo dotati anche di un quadro normativo di riferimento che delinea i contorni dello smart working, definito come «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall'assenza di vincoli orari o spaziali e un'organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività. La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l'accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l'accordo individuale e sull'utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: PC portatili, tablet e smartphone)».

Tuttavia la giusta obiezione secondo cui esistono già i lavoratori da casa impone di ridefinire meglio il concetto che riguarda le organizzazioni (profit e no-profit) e non il singolo professionista freelance che, da sempre, è abituato a lavorare in mobilità, con orari flessibili e utilizzando software e applicazioni che gli consentono di svolgere la professione in maniera fluida. Quindi, non ha senso chiamare smart worker quei professionisti che hanno sempre lavorato così. Freelance erano prima, freelance sono ora, freelance saranno domani. Insomma, serve una visione più ampia, aziendale. Lo smart working è allora un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all'interno di un'organizzazione in cui alla base ci sono tre elementi chiave: la revisione della leadership e del rapporto tra manager e dipendente (da controllo a fiducia); il ricorso a tecnologie collaborative in sostituzione ai sistemi di comunicazione rigidi; la riorganizzazione del layout e degli spazi di lavoro che vanno oltre le quattro mura di un ufficio.

Anche nelle libere professioni, poi, lo smart working è da tempo una realtà consolidata. Gli avvocati, ad esempio, svolgono già così parte consistente del lavoro e possono tranquillamente interagire con i propri assistiti grazie a qualsiasi supporto digitale. In un momento in cui udienze e ulteriori attività giudiziali e stragiudiziali sono sospese o condizionate per via dei DPCM emanati dal Governo, agli avvocati viene chiesto di esercitare la propria professione attenendosi alle previsioni dei decreti, motivo per cui il lavoro agile risulta ancor più essenziale per fornire continuità di servizio. Sembra assolutamente verosimile che si potrà rendere più efficiente la macchina della Giustizia incentivando proprio lo smart working, in sinergia con tutti gli uffici preposti.

I risultati di una tale ridefinizione sono incoraggianti, come dimostra uno studio del 2018 dell'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano: «Più della metà delle grandi imprese e l’8% delle PMI ha iniziative concrete Smart Working. Le prime iniziative sono presenti anche nel settore pubblico per cui è stato uno stimolo la legge sul Lavoro Agile dello scorso anno. Gli Smart Worker sono più soddisfatti dell’organizzazione del lavoro rispetto alla media degli altri lavoratori (39%, contro il 18%) e del rapporto con i colleghi (40% contro il 23%). Lo Smart Working aumenta del 15% la produttività per lavoratore e riduce del 20% il tasso di assenteismo».

I vantaggi del lavoro agile si percepiscono anche in termini di migliore salute psicofisica dei lavoratori e dei dirigenti, meno stressati e più gratificati a fronte di una mole di lavoro che non aumenta per quantità, semmai migliora per valore finale. Più tempo a disposizione implica anche un incentivo a svolgere attività più salutari e coltivare relazioni sociali, affettive, hobby e passioni. Meno lavoratori che devono raggiungere l'ufficio con i mezzi significa meno inquinamento, meno traffico su strada, meno rischio di infortuni, incidenti e patologie correlate. L'ambiente ringrazia, con una riduzione di CO2, piombo, polveri sottili e inquinanti nell'aria. Per le aziende, meno personale in sede o nelle filiali vuol dire avere bisogno di spazi minori, più gestibili, meno onerosi quanto a costi di canoni di locazione o spese d'acquisto, nonché bollette più basse. Risparmiare su questi costi può anche migliorare, per esempio, l'efficientamento energetico dei locali con quanto risparmiato sui costi vivi.

Se guardiamo all'indice con cui la Commissione Europea misura la digitalizzazione nei paesi membri, notiamo come l'Italia occupi tristemente il 24esimo posto su 28, seguita solo da Portogallo, Grecia, Romania e Bulgaria. Per offrire a tutti una reale possibilità di smart working efficiente occorre, pertanto, che le infrastrutture digitali esistano e siano anche ben funzionanti. Se 11,5 milioni di italiani in tantissimi comuni non sono raggiunti da una connessione internet stabile e di qualità il problema è serio. Proprio in questi periodi di sovraffollamento di traffico dati, a seguito dell'emergenza Coronavirus, i nodi della rete reggono a malapena.

Un discorso analogo, ma allo stesso tempo diverso, va affrontato per la PA. L'apparato statale deve far fronte ad una richiesta sempre più complessa di servizi da erogare ai cittadini e deve mettersi in riga rispetto agli standard che altri paesi UE (e non solo) riescono ad offrire già da anni. Il nostro gap va colmato per migliorare la qualità e la tempestività dei servizi offerti, per accorciare i tempi della burocrazia, per consentire ai cittadini di non doversi confrontare quotidianamente con file agli uffici, attese, materiale cartaceo, spostamenti, rimpalli tra sportelli ed enti che non comunicano tra loro e chi più ne ha più ne metta. I benefici dello smart working e della digitalizzazione sono potenzialmente enormi per le dissanguate casse statali, per gli stessi motivi già descritti poco sopra per il settore privato. Oggi il mancato raggiungimento della digitalizzazione costa 30 miliardi di euro agli italiani ed è oggetto di analisi e strategie che lo Stato mette in atto. Il risultato però è carente. La spinta economica positiva ed occupazionale (nuove assunzioni di figure competenti, possibilmente anche giovani a fronte dei pensionamenti, ed un indotto da considerare) è supportata anche da una riduzione dei costi che gioverebbe a tutti.

Rispondere, infine, al quesito posto nel titolo stesso di questo articolo non è facile, nella misura in cui l'impatto di questo periodo drammatico consta anche di una dimensione soggettiva non quantificabile. Ciascuno di noi può reagire nei modi più disparati, ma l'analisi dei dati e delle prospettive affrontata ci deve spingere ad un ottimismo che potrebbe e dovrebbe costituire la chiave di volta per uscire dallo stallo attuale.

 

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