
Imperatori romani, filosofi ed altri personaggi famosi a spasso per le vie di Aitna-Inessa, l’odierna Motta Sant’Anastasia

Qualcosa di speciale accomunava l’antica città di Aitna-Inessa, secondo gli studiosi corrispondente all’odierna Motta Sant’Anastasia, ed il vulcano Etna. Un rapporto privilegiato che scaturiva dal fatto che, nell’antichità, l’unica strada che permettesse di arrivare alla cima del vulcano partiva, appunto, dalla città di Aitna-Inessa; circostanza per la quale chiunque volesse salire sull’Etna doveva necessariamente passare e partire da Aitna-Inessa.
Tale rapporto era, inoltre, sostanziato dal culto del dio Efesto che si riteneva avesse la sede sul vulcano Etna ed il cui culto in Sicilia, per primo, era stato celebrato ad Inessa, divenuta nel 461 a.C. Etna-Inessa.
Il primo storico che testimonia il percorso obbligato, per Aitna-Inessa, dell’unica strada esistente nell’antichità per salire sul vulcano Etna è lo storico e geografo Strabone, nato nel 64 a.C. ad Amasia, città del Ponto. Descrivendo l’antica città di Aitna-Inessa ed il suo rapporto con il vulcano Etna, Strabone parla, inoltre, del filosofo Empedocle.
Di Etna-Inessa dice: «Vicino Centuripe c’è la città di Etna, menzionata poco sopra; essa dà accoglienza a quelli che salgono sul monte e fornisce ad essi la guida: è là, infatti, che inizia la zona della vetta. [...] Coloro che sono recentemente saliti sull’Etna mi hanno raccontato di aver trovato sulla sommità una superficie piana ed uniforme della circonferenza di circa 20 stadi, con intorno un bordo di cenere alto come un muro, [...]. Nel mezzo essi videro un’altura dal colore cinereo come la superficie della pianura e, al di sopra dell’altura, una nube perpendicolare che saliva diritta per un’altezza di 200 piedi [...] essi furono indotti a pensare che molte delle storie raccontate sull’Etna fossero mitiche, e, particolarmente, quelle che alcuni raccontano su Empedocle, cioè che egli fosse sceso nel cratere e avesse lasciato, come segno del fatto, uno dei sandali di ottone che aveva l’abitudine di portare: esso, infatti, sarebbe stato trovato poco lontano dal bordo del cratere, come fosse stato rigettato dalla forza del fuoco1».
La scalata al vulcano era di solito preparata da una sosta nella città di Etna, dove si celebravano dei riti propiziatori affinché le divinità invocate favorissero la scalata: questa circostanza e la citazione di alcuni storici rendono estremamente verosimile che a Etna vi fosse un tempio dedicato a Efesto, come peraltro affermato espressamente da diversi storici quali il Ciaceri, l’Holm ed il Freeman2.
In diverse note storiche la città di Etna viene indicata come il sito da cui iniziava la strada che conduceva alla vetta del vulcano Etna, per cui è logico desumere che tutti coloro che, partendo dalla Sicilia centro-meridionale, volessero salire sul vulcano dovevano necessariamente transitare dalla città di Etna, così come, peraltro, viene affermato da diversi storici antichi e non. Il visitatore più famoso in età antica che salì sul vulcano Etna e che transitò necessariamente da Etna-Inessa fu certamente il filosofo Platone: egli venne in Sicilia tre volte chiamato da Dionisio di Siracusa.

Tra coloro che vollero salire sul vulcano e che, necessariamente, dovettero transitare dalla città di Etna vi furono l’imperatore Adriano, l’imperatore Marco Aurelio, Plinio e molti altri. L’imperatore Adriano soggiornò a Etna-Inessa dove, nel tempio di Venere, venne realizzata una veglia notturna in cui le invocazioni alla Dea e alcuni luoghi indicati nel poema potrebbero far presumere una correlazione con il territorio in cui si svolgono le vicende relative alla rinascita della natura e con il Pervirgilium Veneris, tesi da molti storici sostenuta. L’esistenza di un tempio dedicato ad Afrodite (Venere), esistente ad Aitna-Inessa, correlata alla salita sul vulcano Etna da parte dell’imperatore Adriano, ed al sito dove venne effettuata la veglia notturna che precedette l’ascensione sul monte Etna, viene posta da diversi autori in relazione alla individuazione del sito dove fu trovata una statua della dea Venere e un’ara, attualmente esposta al Museo Civico di Catania sito al Castello Ursino, su cui vi è un’iscrizione dedicata a Veneri Victrici Hyblensi; tale statua venne offerta da Caio Publio Donato ed era poggiante su un piedistallo dove era, appunto, presente l’iscrizione Veneri Victrici Hyblensi. Per individuare esattamente il territorio da cui proviene l’ara e la statua di Venere (di cui si sono attualmente perse le tracce) bisogna partire dalla notizia iniziale fornita da Gabriele Castello Lancillotto principe di Torremuzza e pubblicata nel 1784, relativamente al predetto ritrovamento avvenuto nel 1759. In relazione alla località di provenienza della statua nel cui piedistallo vi è l’iscrizione Veneri Victrici Hyblensi e dell’ara stessa su cui poggiava, possiamo con certezza individuarla nel territorio di Motta Sant’Anastasia, così come documentato da Giuseppe Pagnano, che così scrive: «Presso la Biblioteca Comunale di Palermo, nel volume manoscritto che contiene gli originali e le copie di lettere di studiosi italiani e stranieri a Gabriele Lancillotto Castelli principe di Torremuzza ed alcune minute delle sue risposte, si è ritrovato un gruppo di lettere di Ignazio Paternò Castello principe di Biscari, a Vincenzo Torremuzza. Le lettere vanno dal 1780 al 1784; [...] Biscari ha inviato tempo prima, forse nella lettera precedente, un’iscrizione relativa a “Venere Iblese” da lui avuta a Motta Sant’Anastasia – acquistata o ricevuta in dono ma non trovata in uno scavo poiché se ne ignora l’esatto luogo di provenienza – ed ora si compiace che l’amico abbia gradito la segnalazione». [E nel testo della lettera, che viene riportato, così si legge; sc.] «Godo che abbia incontrato il vostro la iscrizione di Venere Iblese, io l’ebbi nella terra della Motta vicino Paternò ma non so il loco preciso ove fu trovata. [...] Dev[otissi]mo Obb[ligatissi]mo Ser[vito]re ed Amico Ignazio Vin[cenzo] Paternò Castello4».
Tra gli innumerevoli visitatori che nel corso dei secoli, dopo aver celebrato riti propiziatori, partirono dalla città di Etna per salire sul vulcano, vi sono stati almeno due imperatori romani. Il primo imperatore romano che sostò nella città di Etna (probabilmente nel 126 d.C.), prima di salire sul vulcano, e di cui si hanno notizie documentate è l’imperatore Adriano, la cui visita viene riferita da Sparziano. Tommaso Fazello ci informa che: «Da Sparziano (vita Adrian. inter. Scrip. hist. Aug. N. XIII) sappiamo che questo imperatore [Adriano; sc.] venne in Sicilia, trattovi dalla curiosità di vedere co’ suoi occhi i fuochi dell’Etna5». Salvatore Borzì ci informa che: «L’imperatore Adriano pernottò ad Inessa prima di giungere il cratere centrale dell’Etna6». Anche J.P. D’Orville parla dell’ascensione dell’imperatore Adriano sull’Etna: «Interea jam sol supra horizontem adscendere incipiebat. Utrum vero aliquando ortus solis, instar arcus celesti sive iridis, hic variegatus adpareat, cujus spectaculi caussa Ael. Spartianus (a. c. 13) narrat imperatorem Hadrianum Aetnam ascendesse, in Siciliam navigavit, in qua Aetnam montem conscendit, ut solis ortum videret arcus specie, ut dicit varium, dicere non habeo: certe nihil nobis praeter solitum animadversum in solis ortu fuit7». Della cosiddetta Torre del Filosofo e dell’ascensione dell’imperatore Adriano riferisce anche J. C. Richard de Saint Non, che ipotizza come tale struttura non sia da riferire ad Empedocle ma all’imperatore Adriano: «Tale magnificenza [l’Osservatorio sull’Etna] così inutile alle arti stesse e così poco rispondente al gusto di un filosofo [Empedocle], il ricordo del viaggio dell’imperatore Adriano, che al suo ritorno dall’Egitto volle assistere al sorgere del sole sull’Etna, mi fecero pensare che forse fu proprio per lui che venne eretto questo rifugio. Nulla si oppone a questa idea. Nell’anno 877 di Roma, anno 123 di Cristo, al tempo di questo imperatore, il cratere era forse situato a questa altitudine, per quanto oggi bisogna camminare un miglio e mezzo in più per arrivarvi e che abbia raggiunto un’altezza maggiore di cento tese8».
Della escursione dell’imperatore Adriano sull’Etna riferisce anche Guglielmo Capozzo: «Sicuramente non bruciava l’Etna quando l’imperadore Adriano vi salì al riferire di Sparziano, per veder l’astro del sole in sembianza d’iride variato; “ut solis ortum videret, arcus specie ut dicitur varium”: lo che avvenne tra il 117 e il 138 di nostra era9». Anche Mariano Foti riferisce dell’escursione dell’imperatore Adriano sull’Etna: «Adriano, che verso la fine del 126 d.C., secondo le notizie di Sparziano [Adriani Vita, 13,4; sc.], visitò Catania, salì sull’Etna “per ammirare il sorgere dell’aurora” e sostò a Inessa10».

Dell’ascensione sull’Etna dell’imperatore Adriano, nato a Roma il 24 gennaio del 76 d.C., riferisce il Gregorovius, il quale narrando dei viaggi di Adriano attraverso l’impero, dice: «[...] Dopo essersi trattenuto circa tre anni in Oriente ed in Grecia, Adriano tornò in Roma, passando per la Sicilia, dove fece l’ascensione dell’Etna per veder sorgere il sole che in quel luogo assumeva, secondo la tradizione, tutti i colori dell’iride12». Dell’ascensione sull’Etna da parte dell’imperatore Adriano ne parla anche il Lancia Di Brolo che, peraltro, indica con precisione la data dell’evento collocandola esattamente nell’ottavo anno del suo impero e quindi nel 126 d.C.: «L’anno ottavo del suo impero ritornando dalla Grecia in Roma venne in Sicilia, ne percorse gran parte e volle salire sull’Etna; pare che vi abbia fatto qualche larghezza perché oltre una medaglia pel suo arrivo, un’altra gli fu coniata col motto Destitutori Siciliae [...]: Paruta, Sicilia Numismatica, tav. 174, n. 93-9413». Anche il Casagrandi, citando Strabone, parla di Inessa e dell’ascensione sull’Etna: «Da Inessa ai tempi di Strabone i visitatori dell’Etna solevano intraprendere la salita della ignivoma montagna, poiché di qui cominciava l’erta14».
Della visita dell’imperatore Marco Aurelio riferisce il Cordaro Clarenza, che cita il Mongitore (appar. Ad bibl. Sic. p. 2)15. Oltre il culto a Efesto, presso Etna era venerato Zeus Eleuterio, dove esisteva una statua e quasi sicuramente anche un tempio; dice il Ciaceri: «Dal monte Etna, sulle cui cime si immaginava avesse la sua sede, Zeus originariamente prendeva il nome di Eleuterio. Così lo chiamava già Pindaro. Ma ben presto l’attributo del nume venne messo in relazione colla città di Etna, ove appunto lo scoliasta di Pindaro Ol. VI 162 dice che Zeus aveva una statua e feste che da lui si dicevano etnee. La Etna, cui accenna lo scoliasta, poteva essere Catana del tempo di Gerone ovvero la Etna-Inessa dell’età posteriore. È naturale pensare che il culto fiorisse in Catana al tempo di Gerone [...]. La notizia dello scoliasta potrebbe anche riferirsi ad Etna-Inessa dove sarà passato il culto di Zeus Etneo e dove, come osservammo, al tempo di Timoleonte si onorava Zeus Eleuterio. Certo quanto dice Diodoro del Zeus Etneo, onorato dai legati romani al tempo della prima guerra servile, deve intendersi rispetto alla città di Inessa16».
Bibliografia
- Strabone – Geografia. L’Italia (Libri V-VI) – Introduzione, traduzione e note di Anna Maria Biraschi – Rizzoli Editore – BUR, Ariccia, 2001, pp. 277-279.
- Emanuele Ciaceri – Culti e miti nella storia dell’antica Sicilia – rist.anast., Brancato Editore, Santa Venerina, 2004, p. 17.
- Nicola Spata – Monumenti storici di Sicilia tratti dall’epistole di Platone e dai frammenti di Timeo di Taormina, Eforo, Teopompo, Callia Siracusano e Diodoro, Stabilimento Tipografico di Francesco Lao, Palermo 1852, pp. 3 e 184.
- Giuseppe Pagnano – Lettere dei Biscari di Torremuzza, in “Lèmbasi. Archivio Storico” – Museo San Nicolò Militello in Val di Catania, giugno 1995, Anno I, 1, pp. 115 sgg.
- Tommaso Fazello – Storia di Sicilia. Deche Due, tradotto in lingua toscana da Remigio Fiorentino presso la Stamperia dei socii Pedoni e Muratori, Palermo MDCCCXXXII, Tomo V, p. 73.
- Salvatore Borzì – Sicilia schiava, Tipografia Antonino Marchese, Paternò 1962, p. 154.
- D’Orville Jacobi Philippi – Sicula, quibus Siciliae veteris rudera, additis antiquitatum tabulis, illustrantur – apud Gerardum Tielemburg – Amstelaedami 1764 – pars prima p. 232.
- De Saint Non J.C. Richard – Voyage pittoresque ou description des Royaumes de Naples et de Sicile – Paris 1785, rist. – Traduzione a cura di Laura Mascari – Palermo-Napoli 1979, p. 208.
- Guglielmo Capozzo – Memorie di Sicilia – Tipografia di Bernardo Urzì. Palermo 1840, p. 394.
- Mariano Foti – Elysia – Catania 1976, pp. 90-91.
- Marguerite Yourcenar – Memorie di Adriano, Einaudi, Torino 1988, p. 154.
- Ferdinando Gregorovius – Vita di Adriano – Fratelli Melita Editor, Genova 1988, p. 103.
- Domenico Gaspare Lancia Di Brolo – Storia della Chiesa, rist.anast., Editrice Elefante, Catania 1979, Vol. I, p. 56.
- Casagrandi Vincenzo – Su due antiche città sicule. Vessa ed Inessa (Aetna) – Tipografia Ed. Rosario Danzuso Acireale 1894, p. 14.
- Cordaro Clarenza Vincenzo – Osservazioni sopra la storia di Catania, per Salvatore Riggio, Catania 1833, tomo I, pp. 177-178.
- Emanuele Ciaceri – Culti e miti nella storia dell’antica Sicilia cit., pp. 86-87.
In copertina: Il neck di Motta Sant’Anastasia e l'Etna - Foto di Darryl Patrick
Immagine all’interno dell’articolo: Testa che ritrae Platone (Musei Capitolini)
Foto di © Marie-Lan Nguyen / Wikimedia Commons, Pubblico dominio
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Santi Maria Randazzo vive a Motta Santa Anastasia. Nel 1975 si è laureato in Pedagogia presso l’Istituto Universitario di Magistero di Catania con una tesi sulla delinquenza minorile.
Dopo avere svolto per tre anni attività di assistente volontario presso la Cattedra di Teoria e Storia della Didattica presso l’Istituto Universitario di Magistero di Catania, l’Amministrazione Provinciale di Catania gli ha conferito l’incarico di svolgere una indagine sulla devianza giovanile. Dal 1978 ha lavorato presso i Servizi Sociali del Comune di Catania, prima con il ruolo di Assistente Sociale, poi con quello di Funzionario-Coordinatore di Centro Sociale. Su incarico del Comune di Catania ha collaborato con la Procura per i Minorenni presso il Tribunale per i Minorenni di Catania e con il Provveditorato agli Studi di Catania. Per diversi anni ha fatto parte del Comitato Provinciale per la Prevenzione delle Tossicodipendenze, del Consiglio Scolastico Provinciale e dell’Osservatorio Permanente sulle Problematiche dell’Età Minorile istituito presso l’ex Provveditorato agli Studi di Catania e per conto dello stesso Organismo ha svolto indagini sul lavoro nero minorile in Provincia di Catania.
In passato ha ricoperto ruoli dirigenziali in ambito associativo, sindacale e politico, è stato capo delegazione CGIL-CISL-UIL al Comune di Catania. È stato corrispondente da Motta per il giornale La Sicilia. Da quando è andato in pensione, si dedica con passione allo studio della storia della Sicilia, trascorrendo gran parte del suo tempo presso le più importanti biblioteche dell’Isola. Ha pubblicato due libri in digitale, Motta Santa Anastasia nell’antichità: uno degli ultimi misteri della storia siciliana (2012) e Storia di Motta Santa Anastasia. Dalle antiche origini fino alla prima metà del XV secolo (2013), e per Algra Editore il volume Il ritorno degli Aragonesi in Sicilia (2019). Ha collaborato con diverse riviste: ArcheoMedia, Agorà, Incontri, Sicilia Report, Sikelian e MetroCT. Ama lo sport ed in passato ha praticato rugby e atletica leggera.