La forza di una madre a sostegno dei bimbi con CFS

Autore:
Francesca Santangelo
18/05/2017 - 09:45

La CFS viene definita "malattia invisibile". Invisibile come i dolori ai muscoli, alle articolazioni. Invisibile come il sonno non ristoratore. Invisibile come la stanchezza cronica. Sintomi invisibili ma capaci di compromettere l’abilità dei pazienti di condurre una vita normale. La CFS (Chronic Fatigue Syndrome) è una sindrome rara non riconosciuta istituzionalmente in Italia. Due le problematiche principali: l’assenza di un marcatore che qualifichi la CFS come malattia rara, impedendone l’investimento di fondi per la ricerca; e le Commissioni di invalidità, poco qualificate alla verifica dell’inabilità del paziente. Le visite infatti sono basate su test neurologici che spesso non risultano correlati all’affaticamento e ai danni causati da questa patologia. Inoltre sforzare un malato di questo genere, può causare dei seri peggioramenti.  La vita cambia, per il singolo individuo e per chi gli sta vicino. Tutto si ferma, si annulla: scuola, lavoro, hobby, amicizie. Nessuna causa apparente: virale, immunologica, ambientale o genetica che sia. Eppure una vita stravolta.

«Come mamma ho capito subito che traspariva un problema di salute del proprio figlio; iniziava a presentare sintomi alquanto difficili da gestire e giustificare perché aveva forti mal di testa, febbricola, enorme spossatezza, una continua sensazione di simil-influenza, una strana difficoltà a concentrarsi e memorizzare. Riusciva a far delle cose il pomeriggio e poi però l’indomani non riusciva ad andare a scuola, e quindi ti trovavi a scegliere se far fare lezione la mattina o quel che le piaceva il pomeriggio. Non riuscivo a capire dov’era il giusto»Le parole di Maria Pia Cavalet, membro del Direttivo Associazione CFS ONLUS del Veneto, e mamma. Una mamma come tante altre che da anni combatte e affronta la malattia dei suoi figli. Un percorso lungo, difficile, fatto di scelte, di ostacoli da superare, di soluzione da trovare. Due anni circa per capire quale fosse la causa del malessere, girando diversi specialisti fino ad arrivare al Professore Umberto Tirelli che ne ha confermato la patologia.  

«…non conoscendo bene la malattia, esci quasi contenta perché pensi "stanchezza cronica" e ti convinci che basta un po' di riposo e dopo siamo a posto. Invece più passava il tempo, più peggiorava la situazione e inizi a prendere consapevolezza di quanto questa grande severa stanchezza possa invalidare il quotidiano».

La forza di una madre sta nel non arrendersi neanche quando tutto sembra andare storto, quando riceve porte in faccia, quando viene ostacolata dalla burocrazia e dalle istituzioni. Fondamentale l’informazione nelle scuole e nelle ASL che coordinano il lavoro con gli istituti scolastici: una buona conoscenza è alla base del rispetto di chi soffre. Proprio la scuola è stata uno dei punti su cui Maria Pia si è battuta. «La prima lotta è stata quella di capire come gestire le scuole. Ho dovuto imparare tutto da sola. Per la frequenza scolastica ad esempio, occorreva un certificato rilasciato dalla neuropsichiatria della propria ULSS, l’UVMD (Unità di valutazione multidimensionale) col quale una Commissione esamina le necessità dello studente; quanto può frequentare in base allo stato di salute, in che modo e che programma adottare»E ancora: «Portavo i compiti a casa, riportavo ciò che riusciva a fare e siamo arrivati a fine anno scolastico». Il rischio al quale un medico può incombere è quello di non essere a conoscenza della "stanchezza cronica" e di confonderla con la depressione; collocando il malato di CFS verso malattie psicologiche, poiché non avendo un marcatore, non si riesce a identificare subito la corretta diagnosi. Ma la depressione ha delle sfumature molto diverse.

«La differenza sostanziale tra un malato con depressione e un malato CFS sta nel fatto che nel primo caso, si ha la forza ma manca la volontà. Nel secondo invece la situazione è esattamente opposta: il malato CFS vorrebbe camminare, progettare, vivere ma le forze del proprio corpo non lo permettono».

Necessario dunque il riconoscimento della patologia in Italia, così come è già avvenuto in altre parti del mondo quali Spagna, Belgio, Australia, America, etc. Ad oggi il primo obiettivo è stato raggiunto dalla Regione Veneto, che ha riconosciuto la CFS come patologia rara grazie alla legge 6 del 2015 nell’articolo 27. Si attende la messa in vigore affinché si possano realizzare centri diagnostici di riferimento; un codice esenzione per malattie e molto altro. Il riconoscimento del Ministero della Salute della CFS è un punto essenziale su cui bisogna battersi. Con lo scopo di informare e formare cittadini, istituzioni mediche, scolastiche e universitarie, nasce l’Associazione CFS Veneto, nel Settembre del 2016. 

«Cerchiamo, come associazione operante nel territorio Veneto, di diffondere informazioni su cosa può essere la CFS, poiché ci si rende conto che non tutti la conoscono. Dobbiamo stimolare tutto quello che è l’interesse dell’Università degli Studi delle Ricerche, i contatti con altre associazioni in modo che si possa essere una buona rete di supporto per i malati».

 

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