Morti sul lavoro e silenzi, il viaggio nella Sardegna dei veleni (SECONDA PARTE)

Autore:
Riccardo Anastasi
16/12/2015 - 00:46
fusti abbandonati in spiaggia

CAGLIARI - Può dirsi mai civile quella società che, silenziosamente, permette in maniera quasi omertosa l’avvelenamento dei propri figli? Quelli che l’hanno resa evoluta, avanzata, che ne hanno festeggiato le scoperte avanguardistiche e ne hanno osannato gli obiettivi raggiunti. Ma anche quelli che hanno sancito un disimpegno verso questioni morali di straordinaria gravità. Perché marciando nel vittimismo e nell’ignavia hanno portato la loro terra allo sfacelo.

Che sia a nord o a sud, che sia a oriente o a occidente, la Sardegna lamenta forte il grido accorato di una campagna di bonifiche ambientali massicce ed efficaci.

fanghi rossi di lavorazione aziende sulcis

Nel mefitico calderone dei veleni del Sulcis c'è una novità che ha allarmato non poco il Ministero dell'Ambiente. Nell'ultima conferenza dei servizi sulle bonifiche è stato rivelato che due chilometri a nord della zona industriale di Portovesme, in una falda vicino a Capo Altano, sono state rilevate tracce importanti di cloroformio. Messo presumibilmente al bando, ormai da tempo, nella produzione industriale, e considerate le sue altissime proprietà cancerogene, si pensa che in quella zona, dove sebbene agisca una delle maggiori tra le aziende produttrici di zinco e acciaio, non vi sia presenza diretta di cloroformio tanto da  doverne addebitare la responsabilità ai cicli di lavorazione industriale.

Dunque appare chiaro che, considerata la distanza fisica tra la falda in questione ed il sito dove è stata riscontrata la presenza di cloroformio, questo proviene o dalle vicine miniere di carbone ancora attive (Nuraxi Figus e Seruci su tutte) o sia il criminale “lascito” del furbo di turno, generoso nello scaricare abusivamente  in quei terreni residui di una qualche lavorazione industriale, naturalmente illegale.

Non bastasse il pericolo, ora anche l’azzardo a gravare sulle terre  di quest’angolo di paradiso. Un tempo colme di  vigneti, di pastori e di pescatori, secondo un caleidoscopio di colori e profumi incontaminati. Terre che mai nessuno avrebbe mai pensato di ammorbare, a garanzia della loro resa naturale. Nemmeno quei minatori che hanno versato sudore e fatica nella loro massacrante pratica professionale.

Poi, mentre le miniere chiudevano una dopo l'altra, sono arrivate le ciminiere fumanti che fino a qualche anno fa sono state garanti di un patto scellerato tra la gente del posto e gli industriali: occupazione e benessere in cambio di mano libera nella devastazione ambientale.

Cadmio, mercurio, tallio, fluoruri di ogni tipo, nichel. E poi ancora nichel, piombo , zinco e manganese. Un arsenale di morte presente nelle falde superficiali di tutto il Sulcis, agonizzante da circa un trentennio. E non meno grave è la situazione nelle falde superficiali dove tutti questi veleni, oltre a zinco, rame, policiclici aromatici e l'immancabile arsenico, sono distribuiti in quantità industriali oltre ogni limite consentito. E’ una distesa di  croci silenti, un elenco di morti uccisi da un killer silenzioso e perfido, non fosse altro per la sua ignobile fama: l’interesse. Capace di tappare le bocche anche ai lavoratori più onesti e assennati, umiliati fino all’ultimo giorno in fabbrica.

Gli effetti sulla salute della popolazione e dei lavoratori sono ben segnalati da un recente report della Regione Sardegna, secondo il quale, nei passati 4 lustri, solo nel Sulcis, i morti per malattie alle vie respiratorie  sono stati 205 sui 125 previsti (come se già la previsione di morte fosse una pratica comune), con un incremento dei  tumori polmonari pari al 24%. Senza contare screening, attività informativa e di prevenzione, diagnosi eseguita anche su un campione infantile utile ad evidenziare altissimi tassi di piombo nel sangue, di molto superiori alla norma.  

Non c'è mamma a Portoscuso che dia ai propri figli frutta o verdura coltivata negli scarsi e stentati orti del paese. Figurarsi. Magari rischiava pure di subire una denuncia per maltrattamenti.

eurallumina di portovesme veduta

O di fare la fine di quelli, pochi a dir la verità, che, negli anni, hanno provato a denunciare lo scempio ed i suoi effetti drammatici sulla salute delle persone.

Etichettati come scocciatori, liquidati come “ambientalisti” fastidiosi. Insultati come incompetenti da chi, primi fra tutti un certo tipo di apparati sindacali, difendeva ad oltranza ogni polo di piombo e zinco con le loro industrie della metallurgia pesante a più deflagrante impatto ambientale. “Perché qui non si producono confetti” dicevano.

Di certo non si giocava, constatando una tipologia di occupazione che, per quanto a rischio, consentiva di impiegare una forza lavoro dalle proporzioni totalitarie rispetto alla densità abitativa. E ciò nonostante, la valle del Sulcis, dove fino a pochi anni fa lavoravano fino a trentamila persone, appare oggi un deserto industriale in cui si aggirano, disperati ed ammalati i disoccupati e i cassintegrati.

Non si producevano confetti nelle industrie del Sulcis. Confetti rosa no, ma pillole di morte ed angoscia sì.

E anche tante.

(continua)

 

Gli altri articoli dell'inchiesta:

www.ilpapaverorossoweb.it/article/morti-sul-lavoro-e-silenzi-il-viaggio-nella-sardegna-dei-veleni-prima-parte

www.ilpapaverorossoweb.it/article/morti-sul-lavoro-e-silenzi-il-viaggio-nella-sardegna-dei-veleni-ultima-parte

 

Fonte foto:

I fanghi dall'inconfondibile colore rossastro fuorisciti dagli impianti di lavorazione delle industrie siderurgiche del Sulcis: foto tratta da gruppodinterventogiuridicoweb.com

Una panoramica dello stabilimento Euroallumina di Portovesme, lungo la costa occidentale della Sardegna: foto tratta da laprovinciadelsulcisiglesiente.com

 

A cura di Riccardo Anastasi

 

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